martedì 30 aprile 2019

LA RISSA D’APRILE, SECONDO MATTEO

Lapidi sfregiate e imbrattate, corone incendiate, memorie offese e vilipese, cortei marziali e teatrini di insana nostalgia. Dalla Sicilia alla Lombardia, da Bologna a Firenze, a Roma, una vile escalation di atti vandalici contro il 25 aprile, anniversario della Liberazione. 
E meno male che, secondo molti, il fascismo non c’è più: è solo pregiudizio, è solo fantasia e folklore, un fenomeno archiviato dalla Storia. 
Qualche saluto romano, qualche aggressione, qualche pestaggio al diverso e allo straniero, qualche canto, qualche svastica, bandiere e tanta nostalgia. 
Tutto qui, poco più di un gioco o un passatempo, che non costituisce mai apologia di reato.
Ma, “Ogni tempo ha il suo fascismo”, scriveva Primo Levi, uno che se ne intendeva, suo malgrado e per necessità.
Ieri, Festa della Liberazione. Festa sì o festa no? 
Ogni anno, alla vigilia del 25 aprile, si riaccende il dibattito sull’anniversario che, dal 1946, celebra la lotta di resistenza, politica e militare, dei partigiani contro il governo fascista della RSI e l’occupazione nazista. 
Si tratta certamente di un momento politico importante per la storia del nostro Paese, ma in quanti conoscono veramente le vicende legate a questa data? 
La Liberazione del 25 aprile 1945 segna, di fatto, la fine della guerra, del regime fascista e dell’occupazione nazista in Italia: quel giorno furono liberate le città di Torino e di Milano, dopo un’insurrezione generale proclamata dal CLN.
Le grandi capitali europee, invece, erano già libere da qualche mese: cortei e manifestazioni riempivano le strade.
Ma annuncia anche l’avvio di una nuova fase storica che porterà a due avvenimenti altrettanto fondamentali: il referendum del 2 giugno 1946, per scegliere tra monarchia e repubblica (occasione in cui le donne potranno votare per la prima volta in Italia) e la nascita della Repubblica Italiana.
“La nostra Costituzione – ha dichiarato Andrea Camilleri – è ispirata a ciò che venne a significare il 25 aprile: non fu una ‘rissa’ tra comunisti e fascisti come dice Salvini. 
C’erano le brigate Garibaldi comuniste, ma anche i partigiani monarchici e quelli democristiani. Lì c’era l’Italia e tu la riduci a una rissa? Io a 93 anni mi sento fremere di rabbia perché dicendo una frase così Salvini offende i caduti di tutte e due le parti, perché i fascisti che andavano a morire giovani credevano in un ideale sbagliato, orrendo, ma ci credevano, così come i comunisti, i monarchici e i democristiani”.
Quest’anno, nessun ministro leghista ha partecipato a manifestazioni o celebrazioni in occasione della Festa. Il vice premier Matteo Salvini, che ha sempre guardato alla data come una ricorrenza troppo tinta di rosso, ha ignorato la "Rissa" ed è andato a combattere la Mafia a Corleone, in Sicilia.

A distanza di 74 anni, complici gli scontri più ideologici che politici che, sempre più spesso, ne snaturano il significato, la memoria storica rischia oggi di scomparire.
A un’amica che mi segnala che in Germania non si sforzano molto a commemorare con corone e discorsetti, che hanno voltato pagina e guardano al futuro, voglio solo ricordare che i tedeschi devono ancora metabolizzare la grande, infinita vergogna che si portano dentro e non hanno di che celebrare, se non la nascita e la morte di Hitler e l’orrore dei campi di sterminio. Non basta voltare tantissime pagine di sangue e atrocità per guardare candidamente al futuro. 
Il passato, l’infamia, l’obbrobrio e la Storia non si cancellano. 
Non si cancella la memoria.
E qui nasce e si consuma un problema di assoluta gravità e assai sottovalutato: sempre più giovani non sanno nemmeno che cos’è e cosa si festeggia il 25 aprile. 
Basta chiedere a qualche studente, tecnologo e fighetto, anche universitario, per avere delle risposte assurde e allucinanti: “Mi cogli impreparato…non me lo ricordo…la Resurrezione, la Festa del Lavoro…la festa della nonna…in storia non andavo bene, meglio in geografia…Liberazione da chi? ...Siamo nel…1969!
E' semplicemente vergognoso! E’ sconvolgente!
Eppure, tutti sono andati a scuola, hanno studiato, superato esami, avranno letto qualche pagina di Storia: ma che cosa hanno imparato? 
E le famiglie, la TV, la stampa, Internet non hanno mai comunicato niente, non li hanno informati di cosa accadeva in questo Paese e in Europa, oltre settant’anni fa? 
Non ne hanno mai parlato, o sentito dire per sbaglio, di stragi, di rappresaglie, di Fosse Ardeatine, anche di fronte a fatti attuali di cronaca politica e sociale? 
Targhe, monumenti, musei, sacrari della memoria, sequenze di nomi di martiri incisi nel marmo non esistono o non contano e non li hanno mai visti, in tutt’Italia?
La loro ignoranza è penosa, insopportabile e ingiustificata! 
Assistiamo a un nuovo analfabetismo, a un vuoto disimpegno esistenziale, a una colpevole apatia e indifferenza che ci allontanano dal nostro vissuto, dall’essere popolo, dal confronto generazionale. 
Sono sempre di più coloro che – complici un sistema scolastico alla deriva, le facili lusinghe tecnologiche e il predominio assoluto del Web e del Mercato – stentano ad avere coscienza degli eventi più recenti. In tale contesto, la necessità di festeggiare una ricorrenza come quella della Liberazione italiana è ancor più pressante e inderogabile.
“E’ una cosa troppo politicizzata che non mi appartiene”, dicono molti giovani intervistati. Come se Storia e politica fossero un’opzione deleteria da rifuggire, una sorta di contagiosa contaminazione da aborrire, una micidiale, esiziale malattia da evitare. 
Basta ascoltare qualche incredibile risposta, condita di ottuse bestialità, che fa accapponar la pelle.
Anche quella, per esempio, di Piero Calamandrei, uno dei padri costituenti della Repubblica, nel suo discorso agli studenti del 1955:
 “…Però, vedete, La Costituzione è un pezzo di carta: la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile, bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica, l’indifferentismo politico che è una malattia dei giovani….
È così bello, è così comodo: la libertà c’è. Si vive in regime di libertà, c’è altre cose da fare che interessarsi alla politica. E lo so anch’io! 
Il mondo è così bello, ci sono tante cose belle da vedere, da godere, oltre che occuparsi di politica. La politica non è una piacevole cosa. 
Però la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni, e che io auguro a voi, giovani, di non sentire mai, e vi auguro di non trovarvi mai a sentire questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, dando il proprio contributo alla vita politica”. 26 aprile 2019 (Alfredo Laurano)

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