lunedì 4 giugno 2018

SFILA IL GOVERNO


Con la benedizione delle Frecce Tricolori e della parata del 2 giugno, con tanto di bandierone nazionale di 400 metri quadri, spiegato in cielo e atterrato col paracadutista davanti alla tribuna autorità, è nato il soffertissimo governo del “cambiamento”.
Dopo tre mesi di prove, di manicomio, di accordi e disaccordi, di rilanci e minacce di soluzioni tecniche, di ultimatum e di opposizioni preventive al nulla (cioè, in assenza della reale materia cui opporsi), di bizze da Romanzo Quirinale, il semaforo della corrida politica ha visto finalmente la luce giallo-verde: ora si dovrebbe forse dire giallo-blu, viste le nuove scelte cromatiche della Lega che, dopo aver cassato il “nord”, pare abbia anche rinnegato il “verde padano”.
L’alternativa sarebbero state naturalmente, le elezioni molto anticipate, con cabine e seggi al mare e sulle spiagge e un virtuale governicchio balneare, privo di consenso alcuno, che ci avrebbero regalato - come ricordava anche Travaglio - un magnifico patto di governo Lega-Forza Italia, con un Salvini sicuro e unico Premier (e non come oggi solo ministro), alleato del vecchio Berlusconi riciclato.
Tra i due mali, forse si è scelto il minore o il meno peggio.
Anche perché, con il suo demenziale e preventivo Aventino, il PD, senza identità, senza progetti e in balia di leader confusi e improvvisati, ha continuato ad annaspare in una crisi senza fine, ha mostrato i segni di una sconfitta che non sa elaborare, ha preferito sgranocchiare pop corn al cinema Parlamento, parlando impunemente e a casaccio di Sinistra (?) e fronti repubblicani, consumandosi in un'intifada interna permanente.
Incapace di costituirsi alternativa credibile, è riuscito soltanto a farsi odiare dalla gente. Non ha lasciato spazio ad altre soluzioni e, visti i numeri scaturiti dalle urne il 4 marzo, non ha consentito un compromesso fra due culture e sensibilità diverse, ma non opposte, non antitetiche, nonostante le accuse e gli insulti reciproci. Un “contratto” tra quelle due forze - PD e Cinque Stelle - sarebbe stato comunque possibile e preferibile, con un partito però derenzizzato e un centrosinistra profondamente rinnovato.
Ora non resta che far prevalere il buonsenso e la ragione dopo tante sparate, contraddizioni, fallimenti, ripensamenti e imprevedibili colpi di teatro.
Abbiamo una soluzione di compromesso, non certo entusiasmante, ma nemmeno terrificante come l’hanno dipinta in molti, prim’ancora che nascesse. E’ un governo carico di aspettative e promesse che gode di un ampio consenso nel Paese, pur fra mille dubbi e incertezze. Tre mesi di difficile gestazione hanno rimescolato le carte e i valori in campo, che non sono più quelli del giorno del giudizio elettorale.
Ci sarà tempo e modo per giudicare il governo Conte, Di Maio, Salvini, guardando i fatti, le scelte e non solo le intenzioni. Intanto, tra i ministri, tecnici e politici, come osserva sempre Travaglio, non c’è neppure un inquisito o condannato, per la prima volta dal 1994, e nessun ministro puzza di berlusconismo.
Il programma prevede una serie di proposte e di riforme a lungo attese, come prescrizione, anticorruzione, carceri, manette agli evasori, conflitti d’interessi, Rai, Tav, acqua pubblica, green economy, vitalizi, Buona Scuola, reddito di cittadinanza, salario minimo, revisione della Fornero, flat tax o equa riduzione delle aliquote fiscali. 
I pericoli potrebbero arrivare dal Viminale, se il guascone Salvini - ormai padrone del linguaggio e della piazza - tornasse a rivestire i panni del Cazzaro Verde, xenofobo e cattivo, in campagna elettorale permanente, e, nell’euforia del fare tutto e subito, dal possibile sfascio dei conti pubblici, per attuare a tutti i costi le riforme.
E, mentre Berlusconi schiuma rabbia perché, per la prima volta, pare ridotto a “pelo superfluo della politica” (cit.), come i suoi compari renziani, il giovane Di Maio, tornato felice e sorridente, è salvo per miracolo. Se non fosse riuscito a portare il Movimento al governo, dopo impegni, sfide, forni, speranze e tormenti, avrebbe pagato un prezzo altissimo, forse la fine della sua carriera. Ne era consapevole e per questo ha ceduto all’ira che lo ha portato a fare errori clamorosi, generando imbarazzo e ilarità: ha pagato questi tre mesi di struggente passione, salvando la faccia e la parola, ma lasciando forse sul campo un bel pezzo di consenso.
Ora, comunque, ha il tempo di rifarsi e di recuperare, Salvini permettendo.
(Alfredo Laurano)

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