lunedì 18 giugno 2018

CONCERTINAS


Finalmente, in un giorno di sole, fra canti, balli, lacrime, sorrisi e contrastanti emozioni, nave Aquarius è arrivata a Valencia, dopo un lungo e pericoloso pellegrinaggio nel Mediterraneo. È la fine di un incubo, almeno per ora, che si è trasformato in sogno reale per i 630 migranti raccolti in mare, nove giorni fa. 
Ad aspettare sul molo, un imponente spiegamento spagnolo: 2.300 persone tra cui mille volontari della Cruz Roja, 400 della Policia Nacional, cento della Guardia civil, 400 traduttori. Dopo la chiusura dei porti italiani decisa da Matteo Salvini, ora la politica spagnola mostra massima apertura nell’accoglienza ed ha voluto fare le cose in grande, organizzando un evento che nelle intenzioni vuole essere epocale, anche per mostrare al mondo il nuovo corso del governo Sanchez sul tema immigrazione, e non solo.
Ma la Spagna mantiene e nasconde, tuttavia, un grande vulnus, un dramma umanitario che si ripete quasi quotidianamente nelle sue due cittadine di Ceuta e Melilla, enclave spagnole nell’estremo nord del Marocco, proprio di fronte a Malaga, circondate su tre lati da gabbie alte e quasi invalicabili di filo spinato, il quarto lato è il mare. 
Si chiamano concertinas, una parola dal suono dolce e un po’ infantile che vuol dire “fisarmoniche”, ma che raccolgono e concentrano le angosce di molti. 
Sono strutture tubolari di acciaio, recinzione triple a fisarmonica, rigide, armate di lame affilate, fissate in cima alle barriere, praticamente insormontabili, controllate e sorvegliate di continuo, anche tecnologicamente, con telecamere e infrarossi.
Il neo ministro dell’Interno spagnolo ha detto che farà tutto il possibile per rimuoverle per rispetto della dignità delle persone e perchè causano gravi lesioni ai migranti che tentano di scavalcarle per raggiungere l’Europa. 

Affacciate sul Mediterraneo, a sud-est dallo Stretto di Gibilterra ‒ ponte tra due continenti, già definito “fine del mondo” ‒ Ceuta e Melilla, per la loro posizione strategica su un tratto di costa privilegiato, da decenni sono identificate dai migranti come possibili porte d’accesso all’Europa. 
Giorno dopo giorno, infatti, uomini, donne e bambini provenienti dai più svariati Paesi africani ed asiatici devastati da guerre, povertà e persecuzioni d’ogni tipo, lasciano famiglie, case e luoghi d’origine, attraversano interi Stati per provare a varcare, anche più volte e ferendosi spesso gravemente, la soglia sbarrata di quei fazzoletti di terra iberica nella vastità del continente africano. E’ l’alternativa al viaggio per mare verso le coste italiane, maltesi, greche o cipriote. 
Sfidano sorte e legislazioni, fame e sete, criminali e trafficanti, barriere naturali e artificiali, milizie e prigioni, al fine di giungere in Europa, superando quelle barriere alte sei metri e lunghe complessivamente 20 chilometri che segnano il confine con la speranza, in terra marocchina.
Nella notte e nella nebbia, si raccolgono i cadaveri nel mare, di quelli che non ce l’hanno fatta - la gente si è quasi abituata a veder galleggiare corpi di migranti, che affogano perché “los negros non sono capaci di nuotare” - e si cercano quelli che provano a "dar el salto", per sbucare finalmente nella terra promessa. 
Senza una corazza e senza saper volare, è assai difficile penetrare in una fortezza, soprattutto Ceuta, che vive come nel Medioevo, con i fossati, le torri di avvistamento, le pattuglie con i pitbull, pur a non molta distanza dai turisti al sole, che nemmeno sanno cosa succede lì vicino. 
Di recente, due migranti hanno tentato il salto e ci sono anche riusciti, sono scattate le sirene e i fari hanno illuminato la scena: uno aveva rotti tibia e perone, ma era anche pieno di tagli che schizzavano sangue. L'altro aveva i tendini delle mani recisi, cioè mani inservibili forse per sempre. Non bastano gli stracci con cui si coprono per salire, o le scale fatte di legni e di rami, come si usava nei combattimenti di tanti secoli fa. 

È un fenomeno che non si può fermare. Sono poveri, disperati, pronti a tutto pur di passare. Fuori Tangeri, ci sono accampamenti di migliaia di persone, che aspettano il momento giusto, via mare o via terra, per tentare la lotteria. Come anche vicino a Melilla, tremila migranti vivono o sopravvivono nella sierra di Nador, dove ogni tanto la polizia marocchina fa retate e distrugge le baracche nella foresta. 
Questi sono gli effetti delle poco armoniche e poco musicali “concertinas”, che suonano concerti di morte e repressione e che ora la Spagna, a guida socialista, cerca di eliminare dalla sua storia. 
17 giugno 2018 (Alfredo Laurano) 

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