venerdì 1 giugno 2018

L'UOVO DI GIGINO


Habemus governum, quindi e nonostante.
La farsa si è conclusa. Prima di diventare comica tragedia, si è trasformata in una commedia a lieto fine, non prima di aver fatto ridere, piangere e preoccupare mezza Italia e mezzo mondo. Come nei romanzi popolari, nei poemi epici, nelle fiction e nelle interminabili soap, non solo brasiliane.
In questo caso, però, tutto è stato veloce come un lampo, si è consumato in un sospiro.
In poche ore, si è passati da “scherzi a parte” a “c’è ancora posto per te”, a dimostrazione che politica, televisione, cabaret e avanspettacolo rivisitato non sono facili da distinguere. L’audience è schizzata al massimo e il popolo italiano, deluso ma affamato di governo, ancora una volta, è stato deriso e vilipeso, anche, e come sempre, dall’Europa e dai Mercati.
“Agli italiani servono più lavoro e meno corruzione e devono smettere di incolpare l'Ue per tutti i problemi dell'Italia (Juncker) e devono pure imparare a votare: i mercati insegneranno loro a farlo nella maniera giusta” (Oettinger), hanno detto nel bel mezzo di una crisi politica, finanziaria ed istituzionale.

Più che al severo Quirinale, è sembrato di stare al centro di una toccante “sceneggiata meroliana ‘n coppa o Vommero”, dove una sgarrupata compagnia di mezzi attori dilettanti e amatoriali ha improvvisato e recitato una parte che non conosceva, ma che ha fatto comunque ridere e chiagnere, come il genere prevede: 
“felicissima sera a tutti sti signori incravattati…”

Al presidente instampellato Mattarella che ha fatto un pentito passo indietro, dopo aver alzato per un attimo il sopracciglio della reazione a una certa, presunta imposizione. E, forse, dopo aver visto salire lo spread, i tassi sui mutui, calare le Borse e riflettuto sulla lotteria del voto vacanziero. In troppi, solo per questo, lo hanno vergognosamente offeso.

Al povero Giuseppe Conte che zitto, zitto aveva fatto il suo passo indietro, rimettendo il mandato, per aprire la porta al malcapitato e già pronto Carlo Cottarelli, con tanto di zaino e trolley al seguito, a lungo parcheggiato nella sale accanto al presidente, in paziente attesa, forse, ma non troppo, di presentare, come richiesto e all’occorrenza, un governicchio tecnico, inutilmente marinaro, che non avrebbe votato manco la moglie e i suoi prescelti. Anche lui ha dovuto fare lo stesso passo indietro, felice forse di fuggire con il suo bagaglio, la sua precompilata lista di ministri e il suo temperato sorriso da quella pericolosa gabbia delle parti. Ha suscitato, comunque, applausi e molta tenerezza.

Lo ha fatto pure Paolo Savona, non tollerato all’Economia, ma convinto - forse poco e non del tutto - ad accettare altro ministero, meno pericoloso per la dittatura finanziaria della UE.

Lo ha fatto soprattutto anche lo sconvolto e incazzatissimo Di Maio che - gli va riconosciuto - è l’unico che ne ha fatto anche uno in avanti: si è tolto la cravatta d’ordinanza e, nel breve volgere del giorno e della notte, è passato dal tricolore alle finestre, dalla convocazione in piazza dei delusi, dall’impeachment al capo dello Stato alla incredibile intuizione di suggerire allo stesso un banalissimo escamotage: un cambio di casella per il sovversivo economista, un’astuta via di fuga, degna del migliore Houdini.
E Salvini? La mossa di Gigino, che ha capito di essere stato un po’ fregato e manovrato, lo ha spiazzato quando era già in canottiera a preparare i seggi al mare, nelle cabine e sotto gli ombrelloni, stracerto di acchiappare il banco elettorale, anche a ferragosto. Rimasto col cerino in mano, ha dovuto accettare, suo malgrado, la nuova proposta, altrimenti tutti - sua base compresa - avrebbero capito che non voleva più sottoscrivere il contratto e governare. Ora, salvo altre clamorose invenzioni, sarà costretto a farlo, con non poche difficoltà.
Alle sedici di oggi, anche lui con tutti gli altri giurerà.

Mentre tutti, con un pensiero rivolto agli impassibili e provati corazzieri a guardia della porta dell’ufficialità quirinalizia, si domandano: ma tutto ‘sto casino, ‘sto balletto, ‘sto gioco dell’oca frustrata, ‘sta girandola di arrivi, di uscite, di notizie, di smentite e indiscrezioni, ‘ste orde fameliche di cronisti a caccia di parlamentari peripatetici e muti o che fingono di parlare al telefono, non si potevano scongiurare? 
Non si poteva evitare di far ridere mezzo mondo che poi, lo abbiamo visto, ci percula alla grande e con piacere?
Quell’’uovo di Colombo-Gigino non si poteva battere subito sul tavolo della logica e del buon senso, al momento del niet categorico al povero Savona?
No, perché la stampa estera non avrebbe conosciuto la spassosa filastrocca di Gigino e Gigetto che stanno sul tetto: vola Gigino, vola Gigetto, torna Gigino, torna Gigetto.
1 giugno 2018 (Alfredo Laurano)


Nessun commento:

Posta un commento