lunedì 11 giugno 2018

CARO, CHE TE PARO?


E’ sempre tempo di riti e di parate: storiche, sportive, marziali, politiche, religiose e tradizionali. Tutte condotte con fierezza, con orgoglio e con qualche rivolo eccessivo di fluttuante vanità.
Dopo la rivista militare del due giugno, si è appena svolta a Roma quella del Gay Pride, per la rivendicazione dei diritti delle persone Lgbt - lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, queer e intersessuali: come sempre, da una ventina d’anni, un concentrato di allegria, provocazione e stravaganza, di musica e colori, tra bandiere, striscioni, parrucche, piume, costumi, nudità e carri allegorici.
Al centro dell’attenzione, non solo popolare, i valori di laicità, i diritti alla parità, alla salute e alla libertà di tutti, per contribuire a cambiare radicalmente la cultura omofoba, i pregiudizi morali e le discriminazioni sociali e di genere del nostro castigato Paese.

Stavolta, però, insieme alle chiappe al vento, alla sfilata dell’orgoglio gay di Roma c’erano anche i fazzoletti rossi dei vecchi partigiani.
“Brigata Arcobaleno, la liberazione continua”, questo il motto, con due testimonial d'eccezione: i giovanissimi partigiani Tina Costa di 93 anni e Modesto di 92, che hanno partecipato alla liberazione dell'Italia dal nazifascismo e che gli organizzatori hanno convinto ad aprire il corteo, cui hanno aderito anche il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, il Pd, LeU e Amnesty International Italia.
Premesso che l’articolo 3 della Costituzione recita che ognuno è libero di vivere la propria vita come crede e che deve essere applicato a tutti, mi sembra che per gridare libertà, diritti e giustizia contro ogni repressione, discriminazione e fascismo, non sia politicamente e moralmente corretto sfruttare i nobili ideali della Resistenza. Anche perché, come è noto, non risulta che i partigiani abbiano combattuto per i diritti degli omosessuali (in verità, non potevano proprio sopportarli), che andassero sui monti, canticchiando “bello ciao” e sparando all' impazzata contro i nemici omofobi. Anzi, all’epoca, il Partito Comunista, a cui quei partigiani facevano riferimento, li perseguitava e li espelleva.
Ma sono dettagli, letture e preconcetti del passato, perché oggi, pur di raggiungere il proprio scopo, si modificano i giudizi, si rivisita la Storia, se ne racconta un’altra, si strumentalizza tutto: persone, simboli e ideali.
Dalla gogna deviante di una diffusa e odiosa omofobia - da denunciare e reprimere sempre e senza dubbio alcuno - si passa, con troppa insostenibile leggerezza, a promuovere un’onda piena e straripante di omofilia, elevata a norma comportamentale, a parametro di libertà e consenso, a standard di vita, a canone etico. Grazie, anche e soprattutto, all’entusiasmo irrefrenabile dei talk, del web e dei media televisivi che “rieducano” gli spettatori: perché gay è bello, fa spettacolo, fa discutere, fa moda, fa tendenza, fa ascolti e genera tanta pubblicità.

E tutto si trasforma in una esagerata messa in scena, o messa in strada, fra mito, leggenda, folclore e cultura dell’effimero, in un discutibile spettacolo di attrazioni circensi di scarsa qualità, dove l’appariscente sfoggio di culi, tette e di esibizionismo vario, si consacra in un folle, prosaico e caleidoscopico carnevale casareccio.
Che ricorda, vagamente, quello di Rio, ma senza la sua eleganza, la sua fantasmagoria e senza nemmeno le Scuole di Samba o le universali Frecce Tricolori.
Ma con i poveri, ornamentali partigiani a dar valore aggiunto e senso della Storia. (Alfredo Laurano)


Nessun commento:

Posta un commento