venerdì 17 giugno 2016

TRAPPOLE E TOPOLINI

Una complicata trappola in cui i Con-fusi hanno rischiato di finire, ma da cui sono liberati egregiamente. Portare in scena (Teatro di Porta Portese a Roma) una commedia tinta di giallo come “Trappola per topi” di Agatha Christie, che dal 1952 è stata replicata per oltre sessant’ anni, ogni sera, tradotta in 24 lingue e rappresentata in tutto il mondo, con numeri da record ineguagliabile, è un esperienza da provare per chi ama quel genere di teatro, ma è una sfida per niente facile e molto impegnativa.
“Non è proprio un dramma, non è proprio uno spettacolo dell'orrore, non è proprio una commedia brillante, ma ha qualcosa di tutte e tre e così accontenta la gente dai gusti più disparati”. Così la stessa autrice tentava di spiegarsi un simile successo.

Suspense, thriller, intrigo e sprazzi di sottile ironia: gli ingredienti, infatti, ci sono tutti e tutti sapientemente shakerati e amalgamati da una regia essenziale e disinvolta che distribuisce spazi misurati e tempi scenici, gestisce pause, battute e movimenti, anche se appare arduo riprodurre perfettamente lo stile tipico da commedia inglese di quei tempi. Ma gli sforzi e la volontà sono premiati fino a ricreare quella giusta atmosfera, quel clima un po’ retrò, anche sotto il ricorrente profilo meteorologico - ci sono sempre forti nevicate, freddo, isolamento, strade interrotte, elementi tipici e immancabili - che le scenografia e, soprattutto, i bravi attori, per niente Con-fusi, sanno determinare con gesti e giochi di sguardi pieni di significato, alimentando la necessaria tensione psicologica. Anche l’uso di trucchi scenici, come la radio, la libreria, le porte lasciate aperte, le scale, aiutano nell'impresa e alleggeriscono il tono della rappresentazione, che si apre allo spettacolo di puro intrattenimento. 

Tutto si svolge nel salone della pensione Castello del Frate, una vecchia casa inglese, a qualche chilometro da Londra, adattata e ristrutturata a locanda: unico ambiente, unico scenario.
Sulla parete di fondo un’ampia finestra a vetri, il caminetto, di lato le scale che conducono alle camere da letto e il salottino.
A gestirla, due giovani sorelle (nell’originale due coniugi) Mollie e Julie, che si trovano a condividere una drammatica avventura con cinque eccentrici clienti che sembrano avere tutti qualcosa da nascondere e di misterioso, mentre la radio dà notizia di un misterioso omicidio compiuto nei sobborghi di Londra e stranamente collegato alla locanda: è stata strangolata una donna che sembra avere un legame con un fatto di cronaca, accaduto anni prima, relativo a tre poveri bambini, come recita un enigmatico biglietto lasciato dall'assassino: 'Tre topolini ciechi: il primo è caduto nella trappola...” 
Durante la serata, poi, nel buio, viene uccisa un’ospite della pensione, la signora Boyle. 
Proprio la morte di questa donna scatena il panico tra tutti i presenti della locanda, mettendoli l’uno contro l’altro e insinuando il dubbio e il sospetto su ogni minimo gesto compiuto. 

Ambientazione classica da thriller, linguaggio semplice e, soprattutto, un’impeccabile caratterizzazione dei personaggi in questo adattamento del regista Tonino Tosto. Gli attori sono bravi, non solo a interpretare figure che a volte possono sembrare macchiettistiche e ridicole, ma anche a sottolinearne le giuste sfumature, i tic, i contorni psicologici, le manie, con la dovuta credibilità e con superba identificazione teatrale con le stesse. 
A cominciare dalla misurata Irma Ricco (Molly), educata, cortese, disinvolta, ottima cuoca sempre alle prese con pasticci di carne e scatolette, sempre indaffarata ai fornelli. 
L’autentica e briosa Simona Lattes (Julie), spavalda, ironica, indaffarata e stanca, autoritaria quanto basta e irresistibilmente caustica e verace, nel manifestare la sua quasi tangibile insofferenza. 
La vicina, Rita Barbiero (Meddlesome), personaggio aggiunto, che prepara crostate per socializzare e sogna in segreto l’estasi d’amore. 
La sorprendente Ornella Petrucci (Christopher Wren), nel ruolo scomodo e improbabile della stravagante artista, vestita come una “tavolozza di colori”, esuberante, esagerata, nevrotica e dall'aria appena spiritata, che si muove scomposta, sospesa e librante, quasi danzando, con fare leggiadro e infantile. 
La vivace Giusi Martone - con un paio di baffi esagerati, bombetta, valigetta e papillon - nella difficile ed equivoca parte maschile del signor Paravicini, l’ospite inatteso, dal passo incerto e l’aria bizzarra e trasandata, che sa di tutto un po’, anche di antiquariato, antipatico, saccente e insopportabile. 
La precisa e pignola Daniela Quattrocolo (la Signora Boyle), dal malumore cronico, petulante e criticona, noiosa, fastidiosa ed invadente: infuriata col mondo e mai contenta, cerca difetti in chiunque le capiti davanti. Alberto Piccio, un aderente e credibilissimo Maggiore Metcalf, dal portamento militaresco, educato, gentile, attento e sempre a suo agio e molto naturale in quei panni, che gli son quasi cuciti addosso. 
La signorina Casewell, una sempre disinvolta Flaminia Scardaone, puntuale e veritiera negli abiti di una fanciulla bella e solitaria, determinata, intuitiva e dai modi decisi e un po’ scostanti. 
E per finire il Sergente Trotter, un enigmatico Andrea Scaramuzza, una specie di conte di Montecristo inglese, avveduto ed efficace, che si muove bene sulla scena e nulla lascia trasparire fino all'epilogo a sorpresa. 

Attori e personaggi si sovrappongono perfettamente nella narrazione scenica, sia negli aspetti comici e bizzarri, sia nelle situazioni drammatiche e imbarazzanti che riannodano una trama semplice, ma coinvolgente. Consapevoli di essere “intrappolati”, in tutti i sensi, ne fuggono con successo, fino alla resa dei conti finale, con tipica sorpresa - qualcuno scoprirà di essere fratello e sorella - come si addice a un giallo d’autore e come dimostra la convincente recitazione di tutta la compagnia che riesce a catturare agevolmente l’attenzione e gli applausi dell’affollatissima platea.
13 giugno 2016 (Alfredo Laurano)

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