mercoledì 22 giugno 2016

LA BELLA DI IMOLA

La frutta della stagione primaverile-estiva è senza dubbio quanto di meglio la natura possa regalarci, anche con il modesto contributo dell’uomo, soprattutto per la raccolta e la potatura.
Fragole, albicocche, pesche, ciliegie, susine, fichi, meloni e cocomeri sono un trionfo di colori, di forme e di sapori che anche l’arte, in particolare, la pittura ha magnificato nel tempo, pur non potendone esaltare e riprodurre i profumi e i sapori.
Sono un amante e consumatore compulsivo di fragole e in questo periodo ne ho divorato quantità industriali, scegliendo soprattutto le dolci varietà della zona di Terracina: un po’ di zucchero di canna e tanto limone, senza panna o gelato. Per fortuna non sono allergico a tale prelibato nettare.
In questi ultimi giorni, però, sono giunti a completa e quasi improvvisa maturazione i frutti dell’unico albero di mia proprietà: quello delle meravigliose albicocche.
In una settimana di mia assenza, i rami stracolmi, che reclamavano di essere spogliati, le hanno lanciate verso terra, lasciandole cadere - complice il vento - su un tappeto quasi melmoso di insopportabile spreco. 
Un vero peccato e un insulto alla natura.
Un buon cinquanta per cento, comunque, si sono salvate e sono state rapidamente colte con soddisfazione, mista a un pizzico di amarezza per le “perdite” subite.

Era sette o otto anni fa, quando un amico giardiniere mi portò una piantina di 60/70 centimetri, che pagai una decina di euro, e che misi in terra in una semplice buchetta, scavata con la paletta e innaffiata. 
La varietà - mi disse quell’esperto - portava un nome importante e significativo: “la Bella, o reale, di Imola”. 
Al momento, mi sembrò un tantino esagerato e pretenzioso.
Da quel giorno, il tenero fuscello ha fatto tutto da solo, con il solo aiuto del sole e della pioggia: è cresciuto a vista d’occhio, si è trasformato in arbusto, poi in arboscello, fino a diventare in pochi anni un albero di sei-sette metri. Ha goduto, forse, di un microclima eccezionale.
Dopo un paio d’anni, aveva già cominciato a riempire i suoi rami di delicati fiori in primavera e a donarmi poco dopo quelle delizie, gustose e succulenti, che rapiscono il palato, stuzzicando le papille.
Di grandi dimensioni, dall’ aspetto raffinato ed elegante, dal colore arancione vivo, con sfumature di sovra colore rosso su gran parte della buccia vellutata, dalla polpa compatta e croccante e spicca - cioè, si stacca facilmente dal nocciolo - dal profumo intenso e dal sapore dolce, delicato e persistente, come l’ambrosia, il cibo degli dei.

Tante le proprietà salutari e nutritive di questo frutto, simbolo d’estate, povero di calorie, ma ricco di vitamine, carotenoidi e di preziosi minerali che ne fanno un valido supporto in casi di anemia o spossatezza e, soprattutto, di potassio che aiuta anche nell’attività fisica, durante i mesi caldi.
E’ impossibile resistere al richiamo seducente delle mie “belle e nobili di Imola”, anche se nell’ampia gamma di varietà coltivate nel nostro bel Paese, ho scoperto che esiste una cultivar - altrettanto buona - che, con poco rispetto, è stata battezzata “la cafona”. Un’offesa intollerabile. (Alfredo Laurano)

Nessun commento:

Posta un commento