martedì 31 maggio 2016

MARO’, MARO’, RIDATECI I MARO'

E’ tornato, finalmente, anche il secondo Marò e tutti siamo contenti. Se non altro, perché almeno non sentiremo più recitare rosari quotidiani, non ascolteremo altri deliri irrefrenabili di nazionalismo ambiguo o invocazioni di spirituale patriottismo alla carbonara.
Quello dei Marò era diventato un mantra fastidioso, ben farcito di italica ipocrisia. Una litania quasi vespertina, una supplica da Madonna del Divino Amore, che si propagava tutti i giorni, fino a rompere i “maroni”.

Accolto all’aeroporto da due ministri, da un plotone di giornalisti, telecamere e microfoni, da autorità e militari, nonché da cerimonieri e addetti e dal solito drappello di curiosi e nostalgici nullafacenti, Salvatore Girone - in perfetta forma ed elegante divisa marinara - ha vissuto un particolare momento di emozione e celebrità, fra migliaia di flash e strette di mano. Prima o poi, avrà abbracciato con calma anche la famiglia.
Pochi giorni fa, appena si era diffusa la notizia del suo attesissimo rientro, più di qualcuno aveva proposto di farlo “sfilare alla parata” del Due Giugno per esibirlo al popolo sovrano, come un trofeo conquistato, dopo una lunghissima battaglia di formalità legali e normative. Poi, per fortuna, tutti hanno fatto marcia indietro - negando perfino ogni lontana intenzione - e un opportuno lampo di buon senso è prevalso su quella scelta inopportuna e di cattivo gusto, dal più che pacchiano sapore elettorale.

In fondo, con Massimiliano La Torre, l’altro fuciliere di marina, suo compagno di lotta e di cavilli - già rientrato da tempo per motivi di salute - era diventato, suo malgrado, un eroe nella fantasia popolare, un’icona dell’ingiustizia rigida e burocratica, anche se entrambi, a lungo trattenuti per essere giudicati dalla locale magistratura, avevano ammazzato per sbaglio due poveri pescatori indiani. Un dettaglio, assai poco significativo, che molti compatrioti avevano subito dimenticato.

Due simboli quasi santificati, quindi, elevati al rango di eroi e di mitiche figure.
Ma, forse, sarebbe bene ricordare che “eroe”, per definizione e per il vocabolario, è colui al quale si attribuiscono gesta prodigiose, virtù e meriti eccezionali, che dà prova di grande valore e coraggio, affrontando gravi pericoli e compiendo azioni straordinarie o chi si sacrifica per affermare un ideale o per proteggere il bene altrui.
Come, per esempio, chi salva tante vite umane in mare, chi aiuta, cura e si prodiga per gli altri, in condizione spesso difficili, con pochi mezzi e tanta fantasia. 
Chi fa scelte umanitarie, chi opera nel volontariato e nella solidarietà, lontano dalle vetrine e dai riflettori.
Non chiamiamoli eroi, martiri o paladini perché non hanno fatto nulla di eroico, di nobile e glorioso. Anzi!
Accontentiamoci per il momento di esibire i nostri marinai, valvole della nostra usurata coscienza, sui giornali, nei salotti e negli studi televisivi, per magari candidarli alle elezioni in un prossimo futuro, perché ora, pur volendo, non c’è più tempo.
Che autentico peccato!
 31 maggio 2016 (Alfredo Laurano)


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