martedì 31 maggio 2016

LA COLPA DI ESSERE DONNA

Ascoltare le parole del capo della squadra mobile di Roma che afferma di non aver mai visto, in venticinque anni, un delitto così atroce e, ancora di più, quelle del sostituto procuratore che dichiara che Sara si sarebbe forse salvata, se solo uno degli automobilisti di passaggio l'avesse aiutata, anche solo fermandosi o chiamando la polizia, ferisce profondamente la coscienza di ognuno di noi.
Non valgono le banali giustificazioni della paura, della fretta, del “non avevo capito la gravità della situazione”, del “in piena notte e in una strada poco illuminata, con tutto quello che accade al giorno d'oggi e che si sente dire”.
Vale, conta e resta scolpito nella realtà dell’ordinaria quotidianità il primato dell’indifferenza e dell’egoismo che ormai deturpa e definisce questa nostra società malata. Pensiamo, per esempio, alla assuefazione collettiva che, ormai, produce la tragedia dei migranti.

Ci indigniamo, da sempre, ogni volta che una donna viene abusata, violentata, schiavizzata, massacrata e tutti diciamo “non deve succedere mai più", il colpevole deve pagare amaramente, bisogna prevenire e impedire ogni forma di violenza, anche contro gli anziani, i bambini e gli animali.
Le istituzioni, la scuola, le famiglie, i principi educativi devono impegnarsi di più e meglio, come se noi, che di quelle stesse cose siamo e facciamo parte, non c’entrassimo per niente.
Siamo tutti bravi a dire o a ricordare, che le donne non sono “cose” che ci appartengono e che possiamo trattare come oggetti da usare, sfruttare o rifiutare. Ma poi, passata l'indignazione, l’intensa emozione che l’ennesimo delitto ha suscitato, il momento di rabbia e di assoluta condanna, dimentichiamo tutto e pensiamo soprattutto ai nostri interessi e a tutelare nostra incolumità. Anche di fronte al fatto meno grave o più banale: una prepotenza, una minaccia verbale o scritta, un atto di bullismo, di discriminazione, un insulto razzista o omofobo.

Sara è stata bruciata viva dal suo ex. Perché anche Sara non era una donna, ma un oggetto da possedere. E se non lo aveva lui, non poteva averlo nessun altro. Come ai tempi del delitto d’onore.
E le conquiste delle donne, le lotte per l’emancipazione femminile, il ’68, i diritti civili? Come se nulla fosse successo.
Nel passato la donna era praticamente priva di tutto: non studiava, non lavorava, non votava e si occupava quasi esclusivamente della famiglia.
Oggi le donne hanno raggiunto l'emancipazione sociale, la parità civile, giuridica ed economica. Ma non il diritto di vivere serene, di scegliere dei propri sentimenti, dei propri desideri, del proprio futuro e di non essere perseguitate e ricattate. Di non essere quell'oggetto dell’uso e del desiderio, del piacere o del disprezzo del maschio sultano.

Al di là di certe culture religiose, integraliste e intransigenti - a noi storicamente lontane - che denunciano e ratificano una condizione femminile di estrema emarginazione e sottomissione, questa società “civile" è intrisa, tuttora, di atavico maschilismo, a cominciare dal linguaggio di certa politica, dall'ipocrisia perbenista, dal sessismo e dall'ironia che ogni giorno si accende e si propaga nei rapporti sociali e personali e anche sul Web. Come se tutto ciò fosse normale e lecito.
Molti continuano a pensare che in fondo la donna deve badare a casa e famiglia, che non deve provocare, che si deve vestire in un certo modo perché altrimenti se la cerca, che deve comportarsi come piace e pare a noi - obbediente e sottomessa - altrimenti è una poco di buono, se non una sgualdrina. E quando sbaglia e non si attiene a tutto ciò deve essere punita.
DEVE, DEVE, DEVE: la dittatura del dovere, imposta dal maschio primitivo.

Questa è quella parte di schifosa società dei pregiudizi e degli stereotipi, dove gli uomini ammazzano le donne e dove chi vede un auto in fiamme e riceve una richiesta d’aiuto nemmeno si ferma o avverte la polizia, lasciando morire una ragazza che si poteva salvare. Meglio girarsi dall'altra parte e proseguire dritto, perché non ci riguarda o finché non tocchi a noi. 
Finché continueremo a confondere il possesso con l’amore.
31 maggio 2016 (Alfredo Laurano)



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