Ascoltare
le parole del capo della squadra mobile di Roma che afferma di non aver mai
visto, in venticinque anni, un delitto così atroce e, ancora di più, quelle del
sostituto procuratore che dichiara che Sara si sarebbe forse salvata, se solo
uno degli automobilisti di passaggio l'avesse aiutata, anche solo fermandosi o
chiamando la polizia, ferisce profondamente la coscienza di ognuno di noi.
Non
valgono le banali giustificazioni della paura, della fretta, del “non avevo capito la gravità della
situazione”, del “in piena notte e in una strada poco illuminata, con tutto
quello che accade al giorno d'oggi e che si sente dire”.
Vale,
conta e resta scolpito nella realtà dell’ordinaria quotidianità il primato
dell’indifferenza e dell’egoismo che ormai deturpa e definisce questa nostra
società malata. Pensiamo, per esempio, alla assuefazione collettiva che, ormai,
produce la tragedia dei migranti.
Ci indigniamo, da sempre, ogni volta
che una donna viene abusata, violentata, schiavizzata, massacrata e tutti
diciamo “non deve succedere mai più", il colpevole deve pagare amaramente,
bisogna prevenire e impedire ogni forma di violenza, anche contro gli anziani,
i bambini e gli animali.
Le istituzioni, la scuola, le
famiglie, i principi educativi devono impegnarsi di più e meglio, come se noi,
che di quelle stesse cose siamo e facciamo parte, non c’entrassimo per niente.
Siamo tutti bravi a dire o a
ricordare, che le donne non sono “cose” che ci appartengono e che possiamo
trattare come oggetti da usare, sfruttare o rifiutare. Ma poi, passata l'indignazione,
l’intensa emozione che l’ennesimo delitto ha suscitato, il momento di rabbia e
di assoluta condanna, dimentichiamo tutto e pensiamo soprattutto ai nostri interessi
e a tutelare nostra incolumità. Anche di fronte al fatto meno grave o più
banale: una prepotenza, una minaccia verbale o scritta, un atto di bullismo, di
discriminazione, un insulto razzista o omofobo.
Sara
è stata bruciata viva dal suo ex. Perché anche Sara non era una donna, ma un
oggetto da possedere. E se non lo aveva lui, non poteva averlo nessun altro.
Come ai tempi del delitto d’onore.
E
le conquiste delle donne, le lotte per l’emancipazione femminile, il ’68, i
diritti civili? Come se nulla fosse successo.
Nel
passato la donna era praticamente priva di tutto: non studiava, non lavorava,
non votava e si occupava quasi esclusivamente della famiglia.
Oggi le donne hanno raggiunto
l'emancipazione sociale, la parità civile, giuridica ed economica. Ma non il
diritto di vivere serene, di scegliere dei propri sentimenti, dei propri
desideri, del proprio futuro e di non essere perseguitate e ricattate. Di non
essere quell'oggetto dell’uso e del desiderio, del piacere o del disprezzo del
maschio sultano.
Al di là di certe culture
religiose, integraliste e intransigenti - a noi storicamente lontane - che
denunciano e ratificano una condizione femminile di estrema emarginazione e
sottomissione, questa società “civile" è intrisa, tuttora, di atavico maschilismo,
a cominciare dal linguaggio di certa politica, dall'ipocrisia perbenista, dal
sessismo e dall'ironia che ogni giorno si accende e si propaga nei rapporti
sociali e personali e anche sul Web. Come se tutto ciò fosse normale e lecito.
Molti
continuano a pensare che in fondo la donna deve badare a casa e famiglia, che
non deve
provocare, che si deve vestire in un certo modo perché altrimenti se la cerca,
che deve
comportarsi come piace e pare a noi - obbediente e sottomessa -
altrimenti è una poco di buono, se non una sgualdrina. E quando sbaglia e non
si attiene a tutto ciò deve essere punita.
DEVE,
DEVE, DEVE: la dittatura del dovere, imposta dal maschio
primitivo.
Questa è quella parte di schifosa
società dei pregiudizi e degli stereotipi, dove gli uomini ammazzano le donne e
dove chi vede un auto in fiamme e riceve una richiesta d’aiuto nemmeno si ferma
o avverte la polizia, lasciando morire una ragazza che si poteva salvare. Meglio
girarsi dall'altra parte e proseguire dritto, perché non ci riguarda o finché
non tocchi a noi.
Finché continueremo a confondere il possesso con l’amore.
31 maggio 2016 (Alfredo Laurano)
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