giovedì 4 dicembre 2014

Al ROGO, AL ROGO

Non fa informazione, non è un’opinionista, né una divulgatrice. Non fa cultura, non conduce inchieste, non “sporca”, non insulta, ma fa tanta compagnia. E ama tutto e tutti: “il mio pubblico, le mie inviate, la mia redazione…la mia schiettezza genuina!
Se ti piace, la guardi. Se l’apprezzi, ne condividi i toni, le scelte e anche le banalità.
Se ti interessa, la segui nei suoi pindarici voli, sulle ali del pettegolezzo di paese o del gossip, malizioso e frivolo, da aspirante, loquace parrucchiera.
Se resti soggiogato dalla sue imperdibili “esclusive”, sgrani il rosario della pietà, della preghiera collettiva, della commozione indotta nei misteri gloriosi della fede di cotal madonna.
Occhi lucidi, sguardo triste da cucciolo di beagle offeso o bastonato, volto sofferto che emerge a fatica sotto chili di cerone. Oppure, all’improvviso, come si addice ai grandi trasformisti, è capace di sfoggiare balletti, teatrini, moine e smaglianti sorrisi, come da pubblicità di dentifrici e collutori. Un vero talento popolare, che piange, che ride, che si affligge, si entusiasma e si inginocchia, Che sa tempestivamente sintonizzarsi sul tasto dell’opportunità, che sa indossare la giusta maschera al momento, che spruzza spontaneità napoletana, “in coppa a ‘o Vomero o a ‘u Vesuvio.
Ma a condizione che sia sempre iperilluminata, come nelle mariane apparizioni.

Sensuale, formosa e femminile, esibisce un fisico apprezzabile grazie alla palestra: contenute scollature, abiti corti e gambe giovanili, a tacco quindici. Tutto sommato, un soffice babà, una gustosa sfogliatella, croccante e cremosa, matura e piacente, al netto del trucco, parrucco e restauro prima di andare in onda.

Verace, procace e vivace nella parte dell’intrattenitrice salottiera, tra le quinte chiaroscure del programma che conduce.
Una soubrette pagata per far spettacolo con qualunque cosa: con le storie di ordinaria follia, di amori impossibili e tradimenti, isterie di personaggi e divi del momento ma, soprattutto, col dolore, con la pietà e la tristezza, puntando molto sulla roulette della paura e delle angosce quotidiane della gente.
Indubbiamente ci sa fare.
Tiene la scena e aizza la piazza, come un Del Debbio, più accomodante, al femminile, fra annunci, incredibili sorprese e colpi di scena. Tramite collegamenti con inviati addomesticati e diligentemente sottomessi nelle vesti di segugi, sa scavare fra le pieghe della cronaca rosa, gialla, nera o variopinta. Tra le pagine di quella politica, sociale e sportiva. Le manca solo la rubrica di cucina (ah, quanto ci manca!) e il “fai da te” tipo Ikea o Leroy Merlin.
Alto il suo indice di gradimento, grazie anche alle sue “faccette” di circostanza, ai suoi occhi languidi e bagnati con misura, alle sue note espressioni di esagerata compassione.
La regina degli oziosi talk pomeridiani è senz’altro Barbara D’Urso.

Tra un siparietto e l’altro di storielle e di réclame, rivisita e indaga le “migliori” e più misteriose tragedie popolari che appassionano e dividono il pubblico di mezz’Italia. Come fossero fiction di successo o romanzi di Poirot o della Signora in giallo.

Ma, usare il dolore come ingrediente dello spettacolo per alzare lo share e accalappiare spettatori, spulciare sentimenti e situazioni, sbandierare segreti e confidenze, trattando, quasi morbosamente, casi eclatanti come quelli di Sara Scazzi e zio Michele, di Yara Gambirasio, di Melania e Parolisi, di Logli e la Ragusa, di Elena Ceste e l’ambiguo pompiere, è sufficiente per essere denunciati dall’Ordine dei giornalisti per esercizio abusivo della professione?
E’ salvaguardato il diritto dei cittadini all'informazione, quando non si rispettano quelle regole deontologiche che impongono precisi doveri ai giornalisti?
Sono tante le proteste che ogni giorno si levano contro questa ormai dilagante fiera sado-maso delle rivelazioni, dei falsi scoop e delle minuziose ricostruzioni. Sempre avvalorate da autorevoli pareri di criminologi e casalinghe stanche, e dispensati a piene mani da chi si preoccupa solo di aumentare consensi e budget commerciali. “Restate con noi, non cambiate canale, fra poco, dopo la centesima interruzione pubblicitaria, una sconcertante rivelazione…in esclusiva, solo per voi!!”
L'informazione è materia delicata e va gestita con responsabilità e correttezza. Certo! L’ho sempre sostenuto.

Ma, a prescindere dal fatto che ciò non sempre e ovunque accade - anzi, spesso si degrada a chiacchiere e a indiscrezioni, si adegua agli umori della convenienza o si allinea ai voleri del palazzo o, in altri casi ancora, diventa, lesiva e infamante - quella che fa la vestale di Canale5 non è abusiva, non è scomoda o menzognera. Non è proprio informazione.
Ne è, tutt’al più, una fasulla parodia.
E’ il salottino delle opinioni e delle verità presunte.
E’ il boudoir della filosofia dell’illazione e dell’ambigua insinuazione, dove ci si abbandona a qualche prurito da narcisismo, sfruttando la strategia dell’attenzione.

Io non amo l’ipocrisia e la finzione e quindi non apprezzo certo madonna D’Urso e le sue scelte. Ma stavolta la difendo.
L'Ordine dei Giornalisti ha chiesto che siano presi provvedimenti nei suoi confronti perché non è giornalista e quindi non può fare interviste e atteggiarsi da giornalista.
La sovra illuminata, a mio parere, ha tutto il diritto di fare spettacolo sotto i riflettori, a modo suo, anche se moralmente non proprio ineccepibile. 
Può raccontare, interpretare, ventilare ipotesi, intervistare chiunque, anche i cazzari, i maghetti e i cantastorie, finché non fanno danni: se va contro le regole o commette infrazioni va perseguita per legge, secondo il codice civile e penale. E ciò deve valere per tutti coloro che fanno televisione, che hanno un ruolo pubblico, che scrivono, che cazzeggiano e pontificano senza misura.

Nell’era della comunicazione globale, della connessione non stop, pensare che ci sia un Ordine che decide ciò che si deve dire e quello che si deve fare o non fare è roba da Santa Inquisizione. 
Andrebbe abolito, come da tempo si sostiene, o quanto meno riformato, visto che da parecchio sono cambiati tempi, modi e scenari della professione, ma non ci si riesce. Anche perché non si capisce a cosa serva quell’apparato mangiasoldi, se non a mantenere corporativismi e privilegi di casta.

Per il resto, non è necessario mandare al rogo intellettuale l’eretica strega Barbarella.
Basta decidere: non si segue quel programma, come non si guarda quel film o non si compra quel giornale: “Perché tu nella vita comandi fino a quando ci hai stretto in mano il tuo telecomando. Si la vita è tutt'un quiz e noi sogniamo, fantastichiamo…”
Si chiama, semplicemente, libertà di scelta e d’opinione e si trova all’articolo 21 della Costituzione.

3 dicembre 2014                          (Alfredo Laurano)




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