mercoledì 6 agosto 2014

HO DETTO CRUSCHI, NON SUSHI!



“E’ uno di quei giorni che ti prende la malinconia….” (canta Ornella Vanoni), ti senti un po’ giù, un po’ triste… 
Come ieri sera, per esempio. Per ritrovare il sorriso e riconciliarmi con i piaceri della vita ho preso una efficace, naturale, santa medicina: ho mangiato i peperoni cruschi (nella pronuncia  strascinare la S, come una lunga SC) di Senise.
Sono il prodotto simbolo della cucina lucana e non si trovano altrove.

 
Eredità della dominazione spagnola, vengono portati in Basilicata intorno al XVI secolo.
Oggi, da Senise fino al Vulture si coltiva prevalentemente una qualità dolce e poco carnosa. 

Ciò che si produceva d’estate doveva durare anche quando arrivava il freddo e questi peperoni si prestavano ad essere “inzertati” in lunghe collane (serte). Ago e spago, si infilza il picciolo e si lasciano seccare al sole. Poi, si conservano in luoghi asciutti.

La preparazione richiede un  po’ di esperienza e di attenzione. I peperoni, prima puliti con un panno umido e svuotati dei semi e del picciolo, vanno fatti rinvenire, interi o a pezzi, in olio extravergine, ben caldo. 

La parete del peperone è assai sottile e quindi bisogna lasciarlo nell’ olio caldo per pochissimi  secondi, girando subito, altrimenti diventano  neri e bruciati. Nell’olio, si gonfiano, poi si scolano, si salano e diventano cruschi, cioè, croccanti. 

Il profumo si sprigiona in cucina e nella casa.

Sono ideali per guarnire primi piatti, col baccalà o sbriciolati sulla pasta al sugo (strascinati), con gli spaghetti aglio, olio e peperoncino o con mollica fritta. Il loro prezioso olio di cottura, rossastro, fragrante e saporito, nobilita le patate lesse. 

Ma, come suol dirsi, “la morte loro” è con l’intramontabile uovo fritto nella stessa padella e poi riunito ad essi. 

Cosa che, come dicevo, ho fatto ieri sera: una squisitezza, una delizia per gli occhi ed il palato. Un elisir che cura l’ansia e l’amarezza.

I peperoni cruschi, semplici, poveri ma straordinari, sono poco conosciuti nel resto d’Italia, nonostante abbiano ottenuto la denominazione Igp, fin dal 1996.


Ma chi li conosce e li assaggia, per caso o per curiosità, non li dimentica e non li lascia più. Anzi, li consiglia a tutti, come faccio anch’io.
                                                                   Alfredolaurano 
 

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