martedì 11 febbraio 2014

LE SOFFIATE DI OLLIO

Lo dico subito: non voglio, non devo e non mi interessa difendere il vecchio capo dello stato, anzi, avrei parecchie critiche da muovergli, magari in altra sede.
Ma, le “sconcertanti” rivelazioni di Alan Friedman, per gli amici “Ollio”, mi sembrano banali e inconsistenti. Ha scoperto l’acqua calda, o meglio fresca, vista la stagione di riferimento. Fumose, eteree  e dal sapore assai pubblicitario…

In un libro di prossima uscita, il giornalista americano Friedman pubblica delle interviste a Prodi e a De Benedetti, ribadite poi da Mario Monti, che raccontano tranquillamente dei contatti fra  Napolitano - che pubblicamente conferma,  parlando anche di altre varie occasioni - e l’ex Rettore della Bocconi, nell’estate del 2011, ben prima (tre, quattro mesi) della sua nomina a presidente del Consiglio. Contatti finalizzati a verificare la sua disponibilità ad impegnarsi nella formazione di un eventuale, futuro governo. 
Era noto a  tutti, se ne parlava in giro, lo sapevo anch'io.
In agosto, l’economista risponde su questo specifico tema addirittura al TG5. Dov’è l’anomalia? Dice lo stesso Monti.

Sarà bene ricordare che in quel momento il Paese viveva la crisi più profonda, in un contesto di precarietà, di incertezza e di tensioni sociali. Tra le bocciature delle agenzie di rating, si consumava quotidianamente la parabola dello spread, si temeva per i risparmi e le pensioni, si paventava di fare la fine della Grecia.
L’Europa continuava a chiedere lacrime e sangue, si diffondeva la paura di precipitare nel baratro e, soprattutto, non se ne poteva più delle vicende sessuo-giudiziarie di Silvio Berlusconi e della sua colpevole inerzia governativa.
Cosa avrebbe dovuto fare il capo dello stato, di fronte alla evidenti e crescenti difficoltà, se non sondare una possibile alternativa per risanare il Paese allo sbando? Sarebbe stato accusato, quanto meno, di indifferenza e insensibilità politica se non si fosse almeno preoccupato di quella drammatica situazione economica e sociale.

Difficile cogliere la sorpresa nelle ovvietà narrate da “Ollio” Friedman, che cerca forse pubblicità gratuita al suo libro o intende offrire un’ulteriore sponda critica a chi vuole seppellire il presidente. Dov’è il complotto, di cosa dovremmo stupirci?
Sembra il solito uso strumentale e gratuito di fatti insignificanti e di parole vuote di chi specula per obbligo di parte, ricamando l’arte del nulla e dell’irrilevanza.

A novembre, subito dopo la risicata approvazione della legge di stabilità, arrivarono le dimissioni di Berlusconi, la cui maggioranza di governo, dopo l’uscita di Fini, era ormai appesa al sottile filo dei voti “responsabili” dei venduti Razzi e Scilipoti. Di fatto, non esisteva più. 
Da tempo si conoscevano, peraltro, anche i contrasti con la Lega, con Tremonti e altri ministri.
A quel punto, in un clima di festeggiamenti popolari, si apriva il dibattito sul dopo Silvio. Tre gli scenari possibili: un nuovo governo di centrodestra con un altro premier (magari  Alfano?), un governo tecnico o  di larghe intese, elezioni anticipate, seppure col porcellum.
Nelle consultazioni successive, si registrò una larga convergenza sul nome di Mario Monti - già opzionato, appunto, nei mesi precedenti come salvatore della patria - per formare un nuovo governo tecnico. 
Anche perchè, in quel frangente, sarebbe andato bene pure Pippo Franco o Cicciolina, pur di togliersi dalle palle Silvio.

E così, col beneplacito del Pd che, per alto senso di responsabilità (diceva Bersani) rinunciò ad andare al voto e a vincere “facile” - come a tutti era evidente - Napolitano, anziché sciogliere le Camere e mandare il Paese alle urne - “l’Italia non poteva dare un segnale d’instabilità politica, i mercati non ci avrebbero perdonati”- fece nascere il governo Monti.
Fra i tanti “necessari sacrifici”, richiesti al popolo per non finire peggio, l’azione di austerità - inizialmente quasi da tutti accettata, ma rivelatasi poi odiosa e fallimentare -  fu accompagnata da applausi e consensi quando, in realtà, ci sarebbe stato ben poco da gioire: grandi rinunce, aggravio fiscale, nuove tasse, anticipo dell’Imu, fregature varie su pensioni, esodati e sul lavoro e la sudditanza alla “culona”Cancelliera, che correggeva i compitini.

Questa è la vera colpa grave di Napolitano e dell’ingenuo Bersani che, per amor di patria o per paura della scomodissima eredità, rinunciò a “smacchiare il giaguaro”, nell’occasione più limpida e propizia: un rigore a porta vuota!
Se si fosse, allora, andati a votare, probabilmente oggi il cavaliere sarebbe del tutto fuori gara, non perché condannato, ma perché sconfitto politicamente. Una condizione che non gli avrebbe consentito, come leader in disuso, di trattare con Renzi al tavolo delle riforme o di sperare addirittura di tornare in auge e di giocarsi la partita elettorale.

Alla Santanchè,  a chi parla di teorie e di complotti e all’autore del fallito scoop, vorrei svelare - in via del tutto confidenziale - due “riservatissime”notizie:
-Berlusconi e il PDL hanno votato e sostenuto il governo Monti;
-Berlusconi e il PDL hanno praticamente scelto e rivotato il Napolitano bis.
Ma, forse, come accade quasi sempre, a loro insaputa.

Fate vobis e mettetevi d’accordo.

11 febbraio 2014                                                      (Alfredo Laurano)  

                                    

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