venerdì 6 dicembre 2013

MISSION FRA I CAMPI PROFUGHI

Nel mondo c’è sempre una guerra. E dove c’è la guerra la gente muore o fugge. In condizioni disperate, senza una meta, senza uno scopo, a volte rischiando e trovando la morte nel tentativo di fuga dalla stessa.
Tutti sappiamo, più o meno, che esistono campi profughi che accolgono tanti rifugiati. Ma, quasi nessuno li conosce, li ha visti o sa come sono nati e come sono organizzati.

Un’occasione per accendere i riflettori su questa gente che soffre, che ha perso tutto, parenti, casa e cose in luoghi dove tutto è distrutto e  abbandonato e dove si continua a morire tra le bombe, l’ha proposta Mission ieri sera su Raiuno.
Una serie di critiche e polemiche sul rischio di spettacolarizzazione di un tema difficile e quasi sconosciuto ai tanti, come appunto quello dei profughi, hanno preceduto, messo in dubbio e accompagnato la messa in onda del programma,  prodotto in collaborazione con l’Unhcr - l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati - e l’Ong Intersos.

Se lo scopo, come sostiene la Rai, è quello di portare all’attenzione del grande pubblico l’importanza delle missioni umanitarie, far riflettere e far conoscere il lavoro degli operatori internazionali, offrire uno spaccato di terribili realtà, spesso ai margini dell’informazione, sia televisiva che della carta stampata e, soprattutto, raccogliere fondi e donazioni, ben venga Mission. In prima serata e su una rete generalista e un po’ distratta.
Anche se, per raggiungere questi obiettivi e per contribuire alla campagna di sensibilizzazione, si rende necessario spedire in quei campi profughi qualche noto personaggio – che la gente conosce e  in cui si riconosce -  per mostrare, attraverso i loro occhi e i loro passi, la drammatica situazione in cui vivono i rifugiati. Al Bano, le figlie assai provate, Pannofino e gli altri hanno il ruolo di far conoscere al pubblico le missioni a cui partecipano, non da protagonisti, ma come “normali volontari”, senza lucrare sul tema e fare spettacolo.
E’ con questo spirito, proprio da servizio pubblico, Mission non può essere visto come un gioco o un reality; non ci sono prove “paurose e disgustose”, sfide cretine, eliminati o vincitori.
È soltanto un lungo racconto dell’orrore, dello strazio e della paura vera, attraverso le testimonianze di chi  vive all’interno di quei pur provvidenziali campi, tra sabbia, serpenti e scorpioni. 
Anche se, e questo è un suo limite, non spiega cosa è davvero successo in Mali, in Congo o in Siria, da imporre a milioni di persone di scappare, per cercare la salvezza tra le tende dei rifugiati.

Oltre centotrentamila siriani sopravvivono nel campo di Zaatari in Giordania, nel deserto: volti segnati e sofferenti che hanno visto in faccia la morte, la fame e le mutilazioni; immagini dure, drammatiche, che ti fanno vergognare della tua “normalità”, difficili da digerire. Attenuate a volte da uno sguardo di riconoscenza o dal mezzo sorriso di un bambino, che prima ha pianto per paura della vaccinazione.

E’ una realtà dolorosa che non può essere ignorata, che tutti dovrebbero conoscere per dare solidarietà e per apprezzare al meglio la fortuna della pace e di chi non vive il flagello della guerra.

5 Dicembre 2013                                   

                                AlfredoLaurano                                                                                                                                                                         

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