mercoledì 6 marzo 2019

ORA TI SPIEGO


A una ridicola e vergognosa sentenza hanno fatto seguito ridicole e vergognose motivazioni.
Motivazioni che non motivano, che non spiegano, che nulla aggiungono, nulla giustificano, nulla provano, oltre quel tutti sanno.
Se appare evidente, a giudizio della Corte, l'assenza di dolo nell'esplosione del colpo che ha ferito Marco Vannini, è altrettanto evidente la volontà di ritardare i soccorsi, per biechi interessi personali, per non rischiare le proprie sicurezze. Pur nella consapevolezza della gravità della situazione, espressa anche dalle parole di Federico Ciontoli, nella prima telefonata al 118. Quella scelta lucida di non fare, tempestivamente, nulla, se non concordare scioccamente una versione ufficiale dei fatti, ha aggravato le condizioni di Marco, fino a provocarne la morte.
Per cui, come in tanti abbiamo più volte detto e scritto, fino alla nausea, lo sparo nell’eventuale bagno può essere stato, si, accidentale, cioè colposo, ma la morte tre ore dopo del giovane Marco è stata invece, innegabilmente, causata dal comportamento volontario e abietto del Ciontoli e del suo clan, che ha anteposto e scelto di privilegiare la sua carriera, anziché vita di un ragazzo di vent’anni. Logica dice, quindi, che il tipo di condanna avrebbe dovuto essere correlato non allo sparo, ma a questo comportamento, imperdonabile e reiterato, per cui sarebbe stata giusta una condanna per omicidio volontario, come fu nella sentenza di primo grado (14 anni per omicidio volontario).

Gli stessi giudici, peraltro, osservano che "Ciontoli ha consapevolmente e reiteratamente evitato l'attivazione di immediati soccorsi per evitare conseguenze dannose in ambito lavorativo. La sua condotta "appare estremamente riprovevole sotto il profilo etico... ma il fatto di trovarsi alle prese con un imputato la cui condotta è particolarmente odiosa non può di per sé comportare che un fatto colposo diventi doloso. Nel rispetto del principio del favor rei, che garantisce un’efficace tutela dell’imputato, dunque, la condotta di Ciontoli va qualificata come sorretta da colpa cosciente".
I familiari, sempre per la Corte "difettavano della piena conoscenza delle circostanze... e proprio in considerazione della non provata consapevolezza circa la natura del colpo esploso, delle rassicurazioni del Ciontoli e delle caratteristiche della ferita, si deve ritenere non sufficientemente certo che essi si siano rappresentati, con la lucidità e la nettezza del padre, la possibilità dell'evento mortale".
Queste motivazioni, così contradditorie e confuse, rendono ancor più fumoso e ambiguo il quadro delle responsabilità, dipinto da vicenda allucinante, almeno quanto il relativo incredibile processo e la sua sconcertante sentenza.
4 marzo 2019 (Alfredo Laurano)



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