lunedì 5 ottobre 2015

PERCHE’ NON ESSERE CATTIVO

Forse il significato di questo titolo un po’ criptico ed enigmatico sta proprio lì, su quella scritta che si legge sulla maglietta rossa di un orsacchiotto malridotto, piantato sulla croce in un cimitero di bambini, un’immagine che strugge l’anima di chi guarda: non essere cattivo verso te e verso gli altri, tendi al bene, al bello: è l’unica salvezza.
Un monito, un invito, un’esortazione, un messaggio di speranza?
“E ’quello che significa per me, l'abbiamo definito l'undicesimo comandamento”, dice Luca Marinelli, il Cesare di questo bel film dello scomparso Caligari, che ha concluso pochi mesi fa la sua vita, proprio con le ultime riprese di quest’opera.

Il suo cinema raccoglie chiaramente una certa eredità pasoliniana perché racconta lo stesso mondo degli emarginati, della periferia e della microcriminalità: una variegata umanità, scandalosa e violenta, segnata da un ineluttabile destino.
Sono storie epiche e drammatiche di borgatari, di drogati, transessuali, barboni e papponi - come nei precedenti “Amore tossico” e “L'odore della notte” - disegnate con un'intensità espressiva che alterna rabbia, malinconia, ironia, euforia, determinazione, tristezza, dolore e momenti d gioia e tenerezza.
Sentimenti e comportamenti contraddittori e discordanti, spesso antitetici e alternativi: l’amore per la nipotina orfana e il valore dell’amicizia, da una parte, e l’inevitabile malvagità e la quasi obbligatoria prepotenza, quale effetto della frustrazione e del rancore sociale, a lungo subito, dall’altra. Tutto coesiste in una rappresentazione alienata e schizofrenica di un’esistenza assai simile, o conseguente, a quella delle allucinazioni provocate dalla cocaina o delle pasticche
E’ un tentativo di rivincita e di riscatto socio-affettivo, al limite del paradosso, sostenuto nel film da una filosofia narrativa, tutta protesa a descrivere emozioni forti, autentiche e selvagge, attraverso il linguaggio crudo di borgata - uno sconvolgente mix di gergo romanesco, gergo della droga e della malavita - e una fotografia che dipinge icasticamente oltre ogni verità.

In una degradata Ostia di vent’anni fa - e a vent’anni dalla morte di Pasolini, ritrovato all’Idroscalo, nel 1975 - cercano di sopravvivere, di “svoltare la giornata” con qualsiasi mezzo, una serie di personaggi che sembrano usciti direttamente dalla stessa penna di Accattone. 
Il loro quotidiano è fatto di piccoli furti, di spaccio e notti brave, che spesso finiscono in risse e pestaggi.
L’incipit di “Non essere cattivo” è brutale e dirompente e può anche dare un certo fastidio, per i suoni fragorosi e per lo sguaiato turpiloquio, ma introduce con ruvida immediatezza ai toni, ai colori, ai contorni e ai significati di una misera realtà, difficile da capire per chi l’osserva da lontano (al cinema, in TV, nei libri o sui giornali), ma assai più da accettare per chi la subisce e la vive tutti i giorni.

Anche i due amici fraterni, Vittorio (Alessandro Borghi) e Cesare (Luca Marinelli) non hanno un lavoro, né sono interessati a trovarlo, e vivono il presente tra eccessi, droga e dissolutezza, senza interrogarsi sul futuro.
Il loro mondo è fatto di extasy, cocaina, musica techno, donne sottomesse - secondo un’etica sessista di borgata - videopoker, furti e spaccio: uno “sballo” persistente come antidoto al disagio, allo squallore e alla fatica di vivere.
Fino a quando per Vittorio si apre uno spiraglio di salvezza, grazie all’amore per una ragazza-madre, Linda (Roberta Mattei). Decide di cambiare vita, di non drogarsi più e di iniziare a lavorare onestamente come manovale.
Vorrebbe trascinare in questa redenzione anche l’amico Cesare, innamoratosi a sua volta di Viviana (Silvia D’Amico, quasi irriconoscibile nella difficile parte), ma le strade dei due sono destinate a dividersi e il lieto fine non è così scontato.
Una storia maledetta di esclusi e “senza parte” in cui si profila, però, al di là del vizio e della precarietà, l’idea della speranza e del cambiamento, oltre il castigo e la condanna del reietto al buio dell’emarginazione.

Sullo schermo, impudiche immagini di desolazione, di solitudine e di tristezza umana ricreano atmosfere di una periferia non molto diversa da quella pasoliniana, con gli stessi peccati e gli stessi vizi strutturali. 
Quel luogo malfamato che il grande friulano aveva visto come laboratorio di genuinità, di corporeità, di passione, contro tutto ciò che è finto o che può essere artefatto. È nella periferia che gli individui, incalzati dai bisogni primari, infrangono le regole, lottano nella vita e portano a galla tutte le contraddizioni e le ingiustizie di una società borghese, egoista e altrettanto violenta, che emargina i non allineati, che non distribuisce ricchezze e colma con l’odio razziale gli squilibri.
“Non essere cattivo”, magistralmente interpretato dai due straordinari protagonisti, ma anche dalle due fantastiche giovani attrici e da tutti gli altri attori, è un film amaro e genuino, pieno di ritmo e di pathos, che commuove e fa pensare.
La spietata macchina da presa, nel carrellare impietosamente su quella disperata umanità, poco o nulla concede alla fantasia e al buonismo, ma sa comunicare con forza travolgente.
"A Ce' non guarda' il mare che poi te vengono i pensieri" - dice Vittorio a Cesare, che fissa assorto quell’infinito azzurro, ma non ci spiega quali.
Forse quel mare, che lo imprigiona nella sua circoscritta dimensione, gli concede di fantasticare un’illusione, come in un abbaglio delirante, indotto da sostanze. Forse la voglia di cambiare tutto, di evadere, di fuggire su una barca con le persone amate, di inseguire la normalità, di non rassegnarsi al proprio destino.
Ad ognuno comunica qualcosa di importante, quello che vuole o quello che ci trova, ma nessuno esce dal cinema a mani vuote o senza sentirsi un po’ in colpa o sotto accusa.
5 ottobre 2015    (Alfredo Laurano)

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