mercoledì 3 gennaio 2018

L’ARTE DELLE MUSE, DEI SUONI E DEI SILENZI

Quando le parole finiscono o non bastano, quando le parole falliscono, quando le parole non si fanno capire perché vengono da lingue diverse, arriva la musica.
Il potere della musica - sacra o profana, classica o leggera, jazz, popolare, di protesta, folk, blues - è straordinario: varca i confini legati a stati, ideologie e idiomi.
E’ il vocabolario internazionale della comunicazione, rappresenta e nobilita i sentimenti della gente e dei popoli diversi. Travalica ogni miseria e meschinità umana.
La musica è il linguaggio universale della trascendenza.
In tutte le sue espressioni, in tutta la sua storia che riflette e accompagna quella dell’uomo e della natura. Si pensi, solo ad esempio, alla Pastorale di Beethoven, alle Quattro Stagioni di Vivaldi o allo straordinario Concerto per Clarinetto K622 di Mozart.

Come di consueto, ho ascoltato e visto il (quindicesimo) concerto di Capodanno 2018 al Teatro La Fenice di Venezia, diretto dal coreano Myung-Whun Chung, che ha condotto l’omonima Orchestra e Coro. Il programma musicale ha visto una prima parte esclusivamente orchestrale, con le composizioni di Antonín Dvořák e una seconda dedicata al melodramma, con una carrellata di arie, duetti e passi corali dal repertorio operistico più amato, con brani di Verdi, Rossini, Bizet e Puccini.
A seguire, 
dalla sala d’oro del Musikverein di Vienna, impreziosita da trentamila rose, il rituale Neujahrskonzert dei Wiener Philharmoniker, trasmesso in oltre novanta paesi del mondo e diretto da Riccardo Muti (per la quinta volta).
Come sempre, protagonisti valzer e polke, galop e quadriglie, ouverture e coreografie varie della tradizione austriaca, chiuse e concluse della incalzante marcia Radetzky.
Oltre alle tante pagine della famiglia Strauss, ad aprire idealmente il 2018 come anno rossiniano, nel centocinquantesimo dalla morte, il Wilhelm Tell Galopp di Johann Strauss padre, ispirato, appunto, all’Opera di Rossini.
Capodanno a parte, dove la melodia assume una valenza augurale e festosa, raggiante e gioiosa - come nel “libiam” della Traviata di Verdi - resta la musica tutta, di tutti, di sempre.
La musica...  Quella che amo, che adoro, che idolatro, che venero.
Quella che medica. Quella che ti estorce le lacrime. Quella che sembra essere l'unica entità che ti possa capire. Quella che ti persuade. Quella che conferma la tua solitudine. Quella che ti fa muovere. Quella che ti convince, anche se solo per un attimo, che siamo degli esseri umani degni di lei.
La musica, bella o brutta, seria o ignorante, santa o puttana che non ti abbandona mai. Quella che è l'unico, vero, potente stupefacente.
È il suono dell'anima. E ti si attacca alla pelle e al cuore per non lasciarti più.
Lo diceva la grande Mina, che un po’ se ne intende.
2 gennaio 2018 (Alfredo Laurano)

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