domenica 14 gennaio 2018

E LA CHIAMIAMO CRONACA

L’ho scritto tante volte, troppe volte, inutilmente. Quasi per sfogo o per sedimentata rabbia, lo ripetevo anche un anno fa, insieme a tanti altri: ma non serve, non basta, non cambia, nulla appaga la speranza. Si scopre sempre qualcosa più incredibile dell’incredibile, dell’assurdo, dell’impossibile.
Non so se questo nostro mondo avariato e degradato sia, in effetti, più pazzo o più cattivo. Più inconcepibile, più comico o grottesco, più crudele o stravagante.
Se ciò che accade e ci circonda, oltre ogni possibile perché, abbia un senso o una ragione superiore, metafisica e trascendente, che sfugge alle nostre capacità di analisi e di razionale comprensione. 
Nonostante la scienza, le scoperte, la presunta civiltà, il controllo della natura e la parcellizzazione dell’atomo, del sapere e della coscienza, siamo vittime di un beffardo maleficio, di una nemesi fatale che ci fa scontare il privilegio dell’essere, senza peraltro averlo scelto.
A dispetto della lunga evoluzione e della più raffinata tecnologia, siamo diventati, progressivamente, ostaggio dell’imponderabile, dell’imprevedibile, dell’impensabile. Di categorie astratte e immateriali che si fanno realtà concreta, oggettiva e quotidiana: quanto di più distopico e indesiderabile si possa immaginare.
Poco, o quasi niente, riusciamo a spiegare. Quasi più nulla ci sorprende e quasi tutto ci ha cucito addosso un abito corazzato e impermeabile di estraneità, di egoismo e indifferenza.
Abbiamo perso perfino lo stupore! Dei numeri, dei clown, degli acrobati e delle snodate ballerine del grande circo umano delle meraviglie.

Poi, fra un attentato e l’altro, tra un’autobomba in un mercato e una sparatoria in aeroporto, tra un incidente aereo e un barcone affondato di migranti, si consumano, come sempre, come ogni giorno, come ogni ora, tanti drammi e tragedie nel privato, nelle strade, in ogni dove o nelle case di chiunque. E la chiamiamo cronaca.
Sono quei fatti di famiglie, di persone e cittadini, che nello stesso momento in cui avvengono, per apparente caso, perdono subito il connotato umano e diventano solo news, notizie, trafiletti di giornale o breaking news. Sempre uguali, sempre le stesse, ricorrenti e ripetitive. 
Basta sfogliare un giornale o un TG di un mese o un anno prima, per trovare in fotocopia gli stessi accadimenti di quel giorno, con altri nomi, altri luoghi, altri individui. 
C’è una costante di violenza, di pazzia, di patologico e abominevole, di vizio e imbecillità, che si ripete a oltranza, in loop, del tutto endemica al genere umano. 
Risse, spaccio, vandalismi, omicidi, crimini vari e baby gang che accoltellano ragazzi per capriccio: c’è qualcuno che ruba pure le coperte e qualche spiccio a un clochard, o il suo cagnetto denutrito e disperato, quando non gli dà fuoco per gioco, per divertimento e per scaldarsi un po’. O gli estorce dieci euro per un posto all’aperto, su un cartone: è il nuovo racket sul mestiere di barbone.
Può bastare o vado avanti? 
Il resoconto continua e non s’arresta mai. Si aggiorna, in automatico, come al televideo o nelle agenzie di stampa.


“Paola poteva essere salvata, la sua morte è una nostra sconfitta”: ha detto Federica Sciarelli durante l’ultima puntata di “Chi l’ha Visto?”, del 10 gennaio 2018. 
La storia è quella di Paola Manchisi, una ragazza di 31 anni trovata morta nella sua abitazione, in mezzo a sporcizia, insetti, cibo avariato, immondizia ed escrementi di topi, a Polignano (Bari). Non usciva di casa da 14 anni.
Aveva frequentato il Liceo fino a 17 anni, poi, all’inizio del quinto anno, decise di interrompere gli studi. Una decisione che lasciò perplessi gli amici. Una sua compagna di classe cominciò subito a cercarla, ma ogni volta che telefonava, citofonava o cercava di mettersi in contatto con lei, i genitori le dicevano che in quel momento non era disponibile, adducendo varie scuse. 
L’estate scorsa, l’amica, che da tempo si era trasferita in altro luogo, aveva segnalato la sua scomparsa alla trasmissione televisiva e l’inviato aveva accertato, raccogliendo le testimonianze dei vicini di casa, che la ragazza era reclusa in casa, isolata dal resto del mondo, che non usciva mai e spesso urlava, mentre il fratello conduceva una vita normale. 
A nulla era servito l’intervento degli assistenti sociali e dei carabinieri.

La mamma, intercettata e intervistata, aveva ribadito con fastidio che era una sua scelta, che tutto andava bene, che non c’erano problemi, ma solo chiacchiere.
Paola è morta sabato sei gennaio, pesava meno di trenta chili. L’autopsia ha accertato le condizioni di grave denutrizione e debilitazione del corpo della ragazza. La famiglia si sarebbe rifiutata per anni di ottenere assistenza dai servizi sociali. 
Non è dato sapere come e perché questa povera ragazza, che studiava normalmente, che svolgeva una vita normale e frequentava amici, si sia ridotta in quelle condizioni disumane.
Né perché le istituzioni abbiano lasciato fare, perché non siano intervenute con fermezza, perché non abbiano sfondato quella porta dietro la quale si consumava e si spegneva una giovane vita umana. Perché non abbiano sottratto la vittima a quei genitori, inetti, incoscienti o “distratti”, solo ora indagati per abbandono di incapace, aggravato dalla morte.
Dobbiamo infine chiederci perché sempre più spesso debbano essere le trasmissioni televisive, pur lodevoli e socialmente utili, a sostituirsi, responsabilmente, ma con evidenti limiti di legge e di mezzi, ai compiti precisi delle strutture dello stato e dei preposti enti.
12 gennaio 2017 (Alfredo Laurano)







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