lunedì 23 novembre 2015

BOMBA O NON BOMBA

Non sono giorni disinvolti.
Nonostante le fiere dichiarazioni di politici e media che ci invitano a non aver paura, a non cambiare le nostre abitudini, il nostro stile di vita e via dicendo.
Ma sulle strade si vedono soldati armati e camionette, blindati, polizia e carabinieri. Anche se, a mio avviso, hanno un effetto deterrente, più che preventivo e protettivo.
Si vuol mostrare una faccia rassicurante ai cittadini assai turbati, ma gli allarmi, gli stop alla metropolitana, l’intervento di artificieri su borse abbandonate, le mezze ammissioni, le mezze verità, i messaggi sui social si ripetono ad oltranza. Non si hanno notizie certe, ma solo interpretate.
La situazione è forse più grave di quel che ci fanno sapere. Per non creare il panico.

Come accadeva nella lunga stagione del terrorismo, delle stragi di stato, delle brigate rosse e nere, della mafia, delle bombe in piazza, ai monumenti, nelle stazioni, sui treni. Dei rapimenti, come quello Moro, del 1978, o le stragi di Capaci di Falcone e poi di Borsellino, nel '92.
Come quando si uccidevano sindacalisti, docenti e magistrati. Blitz, traffico paralizzato, posti di blocco e macchine perquisite
Si respirava, in quegli anni, la stessa atmosfera, si viveva una certa ansia, fra mille domande, molta incertezza e totale insicurezza.
Anche oggi, Roma - ma anche altre città, possibili obiettivi di attentati, è presidiata, forse più di allora, anche in vista del Giubileo che, più che della Misericordia, sembra configurarsi come quello del peccato e del terrore.
La città e il Vaticano sono controllati come Parigi dopo gli attentati, dove ci sono già 3000 poliziotti in più.

E ieri, per restare in clima, un altro attacco jihadista all’hotel Radisson di Bamako, in Mali: 27 morti, uccisi i 13 terroristi, liberati 170 ostaggi da forze speciali francesi e americane.
In queste ore, a Bruxelles, l’allerta terrorismo è innalzata al massimo livello: “Minaccia grave e imminente. Trovato arsenale di esplosivi e prodotti chimici a Molenbeek”.
A una settimana dalla strage parigina, il Belgio si sente in pericolo, teme di essere il prossimo bersaglio.
In un comunicato, il Centro di crisi belga predispone specifiche misure di sicurezza e raccomandazioni dettagliate alla popolazione. Chiusa la metropolitana, i cinema della capitale, annullati gli eventi sportivi. Praticamente il coprifuoco.
“Questo mondo vive per fare la guerra, con il cinismo di dire di non farla. La guerra è la scelta per le ricchezze: facciamo armi così l’economia si bilancia un po’”- dice l’inascoltato Francesco, mentre lancia anatemi contro quei “maledetti, che sono maledetti”.

Intanto, nella capitale, diminuisce la lunghissima fila ai Musei Vaticani, fioccano le disdette di prenotazioni, calano gli spettatori negli stadi e nei luoghi di socialità.
La paura è contagiosa e fa mercato. Non in senso commerciale, ma la si può sfruttare come merce preziosa, su quello politico e della propaganda.
E’ un sentimento forte che sposta idee, programmi e posizioni. Che scatena reazioni istintive o poco razionali. Lo vediamo soprattutto in chi su questo specula per raccattare voti, consensi e visibilità, parlando alla pancia della gente. Lo sciacallaggio è la quasi naturale conseguenza delle catastrofi e del terrorismo.
Vogliono farci vivere con la paura addosso. Vogliono condizionare la nostra vita quotidiana. Vogliono limitare la nostra libertà.
Chi mette bombe allo stadio, chi si fa esplodere in un bar, chi ammazza a casaccio i ragazzi a un concerto, ci dice proprio questo: vogliamo farvi vivere nel terrore e siamo capaci di colpirvi dove e quando vogliamo e quando meno ve lo aspettate. Anche se cantate la Marsigliese o l’Inno di Mameli.
E ci stanno riuscendo.
21 novembre 2015  (Alfredo Laurano)

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