venerdì 19 settembre 2014

MA TU NON SEI SU FACEBOOK?

Secondo un recente studio, Facebook, fondato nel 2004 a Harvard (USA) da Mark Zuckerberg e da alcuni suoi compagni di università, manipola le emozioni di oltre un miliardo e centomila suoi utenti.
Le emozioni dei nostri amici, espresse attraverso post, foto, slogan e articoli che la bacheca sceglie di mostrarci in base a raffinati algoritmi, sono contagiose e influenzano in maniera significativa quello che poi pubblicheremo noi sul social network.
In qualche modo, quindi, i sentimenti -  o quanto meno le attitudini positive e negative -  tendono a propagarsi, di conseguenza, in un gioco di reciproche influenze.
L'indagine è un'ulteriore testimonianza delle possibilità manipolatrici di quei sistemi: non solo acquisti, marketing e pubblicità ma, dunque, anche gestione delle emozioni. 

Manipolazioni o meno, Facebook non è solo un mouse o una tastiera, un diario, un blog, un telefono, un album di fotografie da mostrare o un tavolo virtuale intorno al quale discutere di calcio o di politica. 
O un ricco giardino da curare, coltivare e sempre aperto a un selezionato pubblico.
E’ uno strumento per scrivere, pensare, organizzare, condividere, raccontare e comunicare, Non è necessario, ma facilita il dialogo, lo scambio, la conoscenza, le amicizie e le passioni.
Anche se, a volte, sembra essere soltanto un mezzo per apparire, per esserci e farsi notare, per conquistare un bottino di "mi piace".
E’ come stare sempre in diretta, come avere una telecamera accesa 24 ore al giorno in casa. O come andare al bar, leggere il giornale o discutere con gli altri clienti!
Non va, quindi, né demonizzato, né divinizzato.
E’ solo un social network e la colpa di certi eccessi è di chi lo utilizza in modo improprio o pericoloso.

Oggi, l'eccesso di comunicazione in tempo reale ci dà l'illusione di una vicinanza virtuale. 
Nella quotidianità telematica e digitale, abbiamo perso, forse, il senso e il rispetto della misura, del tempo adeguato, della "giusta riservatezza e discrezionalità" da osservare, prima di entrare in stretto contatto e in rapporto con altri esseri umani.
Tutti iper-connessi e sempre raggiungibili on line: ciascuno di noi si sente esageratamente vicino a tutti, mentre, in realtà, ne è concretamente ben lontano.

L'amicizia, le conoscenze, gli amori, le discussioni, anche riservate, le belle e le brutte parole e tutti i nostri più intimi pensieri e sentimenti sono diventati globali, alla portata di tutti con un semplice clic.
Un veloce "mi piace" apre la confidenza e annulla di colpo tutte le distanze.

Non c'è più il tempo e la voglia di riflettere e valutare, né la possibilità di maturare - come accadeva una volta - le più oculate scelte intime, elettive, affettive e confidenziali.
Questa forma “antica” di approfondimento è scomparsa per sempre!
Si confermano amicizie casualmente richieste, si intrecciano contatti espansivi e conviviali di ogni peso e misura, nonché corrispondenze, anche molto personali, con scambio di fotografie proprie e di famiglia. 
Si inviano saluti con tanto di baci, di stima e di affetto finali, senza nulla lesinare, a persone, peraltro, ignote o solo virtualmente conosciute. Sempre con un semplice clic sulla tastiera!
Ciò avviene, soprattutto a livello giovanile, in particolare, con la generazione di quelli nati con Internet e con tutta la nuova tecnologia, che vengono definiti “nativi digitali”, contro i “semi-analfabeti digitali”, di seconda e terza età, come il sottoscritto.

Ma si pubblicano anche clip e video molto privati, battute di scherno e di dileggio; si ostentano improbabili virtù, manie di esibizionismo e false identità (fake); si realizzano varie azioni di stalking, sotto forma di persecuzioni, ricatti e minacce, più o meno velate o palesi e, ancora, conflitti esistenziali, pene d’amore, insulti ad oltranza, giudizi sprezzanti e sommari.


A volte, si configura una vera istigazione alla violenza e contro la persona, con conseguenze pericolose e drammatiche - ansia, stress, depressione, forte tensione psico-emotiva, idee suicidarie - sulle personalità più fragili e insicure. 
Discorso a parte merita l’uso e l’abuso della comunicazione mediale a scopi illegali, sessuali, commerciali e fraudolenti.

Come è lontano il tempo in cui nei rapporti di amicizia e sentimentali, ma anche nei confronti dei propri genitori, delle persone sconosciute, degli anziani, degli insegnanti o di personaggi autorevoli si osservava la massima considerazione, prima di ogni timido e graduale abbandono informale, poco meno che deferente!


Un costume desueto che nasceva forse da una interpretazione un po’ arcaica del valore del rispetto, misto a devozione: contegno, discrezione, serietà, timidezza, riserbo naturale e anche, forse, il retaggio di un’educazione troppo rigida e bigotta!
Una mentalità, quasi istituzionalmente codificata, sentita come necessità propedeutica al modello etico, sociale e pedagogico di riferimento in quel relativo tempo storico (poco più di una generazione fa).

Con l'annullamento delle barriere spazio-temporali sul Web, quella vicinanza umana indotta dalla costante navigazione in rete rischia di trasformarsi in pura ressa dialettica, sovrapponibile e molto uniformata nei comportamenti, nelle abitudini standard e nelle scelte più convenzionali, secondo un comune e scontato stereotipo, largamente condiviso.
Nell'operare quotidiano è sempre più difficile restare autonomi, difendersi e resistere al nuovo conformismo digitale e all'omologazione della impersonalità.

La società digitale contemporanea al tempo di Facebook e di Twitter non riconosce i concreti rapporti e la vera amicizia, anzi, tende a calpestare, indistintamente, la peculiarità, la specificità, l'intimità di ciascuno.

La tecnologia è intesa a migliorare la vita di tutti i giorni, ma deve essere usata in maniera intelligente, altrimenti diventa solo un peso o, a volte, addirittura una schiavitù.
Sta a noi metterci dentro un po' di cervello e usarla con grano salis.
Non è difficile, non è impossibile.

Tuttavia, come sostiene un recente video di largo successo: ho 442 amici, eppure sono solo; parlo con loro ogni giorno, ma nessuno mi conosce davvero”.
Essere connessi ci dà l’illusione di raccontarci, di esprimere chi siamo e i nostri sentimenti. 
La verità, invece, è che quella sensazione ci inchioda allo schermo, ma non ci fa rendere conto del nostro reale isolamento, mentre siamo in compagnia di tanti amici e conoscenti.

“Da bambino non stavo mai in casa, stavo con gli amici, sulla bici, avevamo buchi nelle scarpe, sbucciature sulle ginocchia. Ora i parchi sono silenziosi.”

Nei giardini e nei cortili non ci sono più bambini, non giocano, non corrono, non dondolano le altalene. Sono tutti dentro casa, davanti al computer. 
A confrontarsi con un mezzo che, se è capace di condividere le emozioni, di sicuro non sarà mai in grado di produrle.
18 settembre 2014  
Alfredo Laurano 

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