lunedì 2 settembre 2013

STORIE DI VITA E DI LAVORO

Aveva diciassette anni quando, con la sua bella valigia di cartone, legata con lo spago, prese il treno alla stazione.Qualche vestito, biancheria, maglie di lana, qualche salume, formaggi e un po’di salsa di pomodoro erano il prezioso contenuto del suo bagaglio.
Quando la vecchia locomotiva, con le carrozze di terza ed i sedili in legno, al fischio del capostazione partì sbuffando, si lasciò alle spalle Benevento, la sua famiglia con le braccia alzate e gli occhi lucidi, il grano ei campi che già da qualche anno, dopo la scuola elementare, aveva cominciato col padre a lavorare. Per la semina e per la mietitura, soprattutto di notte,con la luna, per vincer la calura….

Era molto combattuto su quel treno che, stantuffando, lentamente lo cullava al ritmo sempre uguale, scandito dalle ruote sui binari (tutun tutun… tutun tutun…). I suoi pensieri si scontravano confusi e impertinenti.
Da una parte l’idea dell’avventura, la prospettiva del lavoro e di una nuova vita, la conoscenza di altre persone, di luoghi e ambienti da scoprire. E, non ultimo, il possibile guadagno e il conforto di qualche soldo in tasca.
Dall’altra, l’ansia, il dubbio, l’incertezza di fronte a quello che comunque rappresentava un importante, se non decisivo, bivio nella sua vita. E gli affetti, le abitudini, i riferimenti che, fino al fischio di quel treno, avevano rappresentato tutto il suo mondo di giovane ragazzo e che stava abbandonando. Forse per sempre.

Poco dopo il confine, ancora sonnecchiando, dal finestrino, ebbe il primo impatto con la Svizzera: monti, valli e bianche distese. Alberi, case e paesaggi, incorniciati dalla neve, sfilavano ai suoi occhi colmi di sorpresa e di stupore. Il treno tagliava in due quel panorama soffice e inquietante.
A Berna, trovò il cugino ad aspettarlo. Lo portò a casa e lo ospitò per qualche tempo.
Per molte settimane, tenne la sua preziosa valigia, il suo "mondo antico", accanto al letto, senza disfarla.
Non era così certo di restare.
Quasi subito, però, cominciò il lavoro nella fabbrica di materie plastiche che - non poteva certo immaginarlo - per trentacinque anni avrebbe battuto i ritmi e i tempi della sua vita. Come un orologio…svizzero!
Faceva turni settimanali di giorno e di notte, dal lunedì al sabato. Quello notturno, dalle venti alle quattro, e quello del mattino, dalle quattro a mezzogiorno, erano piuttosto pesanti e il suo organismo dovette presto abituarsi a questa ciclica rotazione. Qualche effetto di tale alterazione del sonno e della veglia l’avrebbe poi pagato, nel tempo e in matura età, con l’insonnia, quasi abituale.
Ad ogni quindicina, si ritrovava in tasca un po’ di franchi e questo attutiva il suo disagio.
Si era fatto qualche amico, aveva conosciuto altri italiani con i quali si faceva una birretta il sabato, al bar degli operai. Tutti con una storia simile alla sua, fatta di rinunce e sacrifici, raccontati e condivisi in confidenza e conditi di molta nostalgia.

Dopo un anno, per un anticipo di ferie, una sera riprese il treno che sbuffava e poi la littorina, e alla fine di un lungo viaggio - con cambio a Roma e a Napoli – rivide Benevento, riabbracciò la mamma, il padre e i suoi parenti. Per pochi giorni.
Ma, fermi gli affetti e i sentimenti, già tutto era cambiato, nella sua mente.
Prospettive e nuove consapevolezze avevano la meglio su tutto quello che ormai era un ricordo: la vita di paese, lo “struscio” al Corso principale, la raccolta del grano al levar del sole, i covoni legati a fasci, la fatica, la dura terra che il padre continuò a fecondare per una vita intera.

Passarono gli anni, continuarono i turni, imparò la lingua, prese in affitto un piccolo appartamento, risparmiando e programmando spese. Si integrò perché non gli mancava iniziativa, capacità e intelligenza, superando anche le non poche difficoltà dell’ immigrato.

Un giorno, in una sala da ballo, tra un mambo e un tango appassionato, Amore Vincenzo, operaio italiano di Benevento, emigrato in Svizzera, incontrò l’amore.
Conobbe Cristina, una bella svizzera dagli occhi vispi e seducenti.
Ballò con lei, parlò con lei, la corteggiò, la sposò.
E da Berna, si trasferì a Friburgo, una trentina di chilometri più a nord.
Nacque una figlia, Cristina lasciò l’azienda farmaceutica, dove lavorava, e dopo qualche tempo trovò occupazione in una tabaccheria.
Vincenzo Amore, persona serena, equilibrata, onesta - e dal cognome molto impegnativo - rimase fra pannelli, lastre e coperture in plastica, fino alla chiusura della fabbrica, per liquidazione.
Quando era in ferie, però, tornava sempre al suo paese, finchè furono in vita i genitori.
Restò un paio d’anni in cassa integrazione, poi fu assunto dal Comune per guidare i camion della nettezza urbana. Anche questo lavoro lo svolse con correttezza e responsabilità, per nove lunghi anni. Fino alla pensione, pochi mesi fa’.

Nella casetta al mare che, con sudore e con una donna accanto di valore, era riuscito col tempo ad acquistare, quando ci andava in ferie nell’estate, metteva esposta la sua piccola bandiera di italiano fiero ed orgoglioso.

Questa, in breve, è la sua semplice storia. Una storia di lavoro, di rinunce, di sudore e di bisogno. E' il racconto della vita di Vincenzo, uomo del sud, schietto, leale e coraggioso, emigrato in cerca di fortuna, come tanti. 
Uno perbene, di principi sani e di grande dignità.

Forse, per questo, ancora oggi, la moglie lo chiama per cognome!

1 settembre 2013                                               (Alfredo Laurano)

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