domenica 2 giugno 2013

LA GRANDE BELLEZZA



Sulle terrazze dell’attico che guarda da vicino il Colosseo, scorrono le immagini di una società gaudente e decadente. Sfilano, in trenini, danze e baccanali, pseudointellettuali ostaggi della noia e della fatica di vivere e una folta galleria di rappresentati, cinici e delusi, di quella cultura radical-chic che, per moda o convenienza , un certo ruolo impone.
Nei palazzi e nei salotti che contano, in una Roma notturna e mondana, questi simboli di opportunismo e di povertà morale si interrogano sulla propria esistenza, si celebrano in un delirio di autocompiacimento,  confessano manie, ambizioni e residui di illusioni perdute, in un’insana e contagiosa voglia di protagonismo.
Egoismo e fragilità alla fiera dell’esibizionismo.

E’ un po’ il disfacimento dei costumi, ancora integri nella pur trasgressiva stravaganza dei tempi e delle mode, raccontati da Fellini nella “Dolce vita” di cinquant’anni fa.
Di contro e sullo sfondo, la grande bellezza della città magica si offre, splendente e seducente, al godimento estetico dei turisti estasiati, turbati dalla sindrome di Stendhal.

Nelle contraddizioni crepuscolari, nei silenzi della notte lunga e senza tempo, o  nei solari  contorni offerti dall’altra Roma, prendono corpo una serie di aberranti personaggi, esagerati ma non troppo, che sono assai lontani dal viver quotidiano e aumentano il contrasto con la normalità della gente che lavora e sputa sangue per campare.

Sono i forzati della fama e del successo,  del potere e del mito dell’eterna giovinezza.
Non spiccano, stranamente, i politici di ruolo, pur da sempre in prima fila. Forse perché troppo scontato o per non creare scelte e facili bersagli .
L’amico, fallito scrittore di teatro, la direttrice nana, il “padrepio” del botulino a settecento euro, scontati, a punturina, la ragazza nuda che prende a capocciate i muri, la matura e misteriosa spogliarellista, la bambina artista suo malgrado, l’intellettuale che fa la “ricca” di professione, il cardinale patito di cucina, la santa che dice che la povertà si vive, non si racconta….

Si dipinge così e si compone un affresco di stampo felliniano, grottesco e surreale. Molto descritto e poco raccontato da inquadrature impertinenti e da oscillanti e spericolati movimenti di macchina che, insieme alla fotografia e alla travolgente musica ossessiva, inchiodano l’attenzione della sala.

La Grande Bellezza di Sorrentino è un film sul vuoto e sul nulla, dove tutto è trucco e inganno, come dice la scena della giraffa, che si sottrae alla bellezza vera.
E’ una metafora dell’indecenza, della corruzione e della volgarità di un mondo frivolo e inutile che non ha speranze. Fenicotteri che spiccano il volo, a parte.

Anche Jep, il protagonista (un magnifico Toni Servillo), che ha dissipato la sua vita in mezzo a questa gente, fra chiacchiere sul niente e vuoto esistenziale e galleggiando a vista “per essere il re della mondanità”, cerca un diverso senso e una risposta alla solitudine  dell’anima, tra la magia dei ricordi giovanili e i voli della fantasia. Anche perchè "a 65 anni non hai più tempo per ciò che non ti va di fare".
Tenta di respirare un’aria nuova, pulita e fresca  e, soprattutto, di cogliere appunto quella grande bellezza -  presente e muta, anche tra le quinte della sua vita, ma tuttavia sempre   ignorata - e di farsi da essa abbracciare e coccolare.

31 maggio 2013                                                              (Alfredo Laurano)


Nessun commento:

Posta un commento