lunedì 23 giugno 2014

E IN FACCIA CHE CE TENNERO? LO CULO!

Che altro dire o scrivere o pensare di questo geniale artista, non solo di teatro e letteratura, che a 88 anni suonati, con la sua stupefacente mimica, con il suo stile beffardo e canzonatorio e con la sua impareggiabile e suadente capacità di affabulazione, disegna il ritratto inedito del più straordinario innovatore del pensiero cristiano?
E che, attraverso le gesta di Francesco ci parla dei grandi temi che attraversano la nostra società?

Registrato all’Auditorium Rai di Napoli una ventina di giorni fa e in onda ieri sera su Raiuno, “Francesco, lu santo jullare” è la versione rivista e attualizzata - alla luce dell'arrivo di Papa Bergoglio sul soglio pontificio -  di un testo teatrale in cui Dario Fo rievocava a suo modo la vita del santo, basandosi su aspetti della biografia poco conosciuti o censurati. “Francesco è stato massacrato dalla Chiesa” ha detto più volte lo scrittore. “I testi riguardanti le sue azioni vennero bruciati al rogo dopo la sua morte, e solo da qualche tempo si sta cominciando a recuperare qualche pezzetto di verità”.
“Lu santo jullare Françesco” è un monologo memorabile in cui si affacciano, come in un burlesque, una serie di personaggi dell’Italia medievale: papi e cardinali, soldati e contadini, monaci e mercanti.
Tra realtà storica e tradizione popolare, Dario ripercorre alcuni momenti  significativi della vita di Francesco, figlio della “francese”: la richiesta di approvazione della Regola al papa Innocenzo III, la predica agli uccelli, l’incontro con il lupo, la malattia agli occhi.

E lo fa usando un linguaggio popolare assai espressivo - una specie di vernacolo umbro-marchigiano, musicale, colorito e coinvolgente - dove i suoni dialettali e le parole pennellano le azioni e che, a momenti, ricorda il suo magico grammelot. Sono suoi anche i magnifici arazzi che compongono le vivaci scenografie. Anche grande pittore!
La storia del poverello di Assisi si intreccia, dunque, con le vicende di Papa Francesco - che non a caso ha scelto questo nome - e diventa, quindi, un modo per riflettere non solo sui valori della religione e sugli affari della Chiesa, ma anche per “interpretare”- alla sua maniera, ironica e anticlericale - l'arrivo in Vaticano del papa argentino.

Gioca, infatti - come ha detto lui stesso, presentando l’opera - sulle analogie tra “l’attuale pontefice che si scaglia senza mezze parole contro vescovi e cardinali, troppo spesso sedotti dal denaro e dal potere, e il santo medievale che si è messo a lottare contro i politici, il potere, la corruzione della Chiesa, dello Stato, degli uomini.

Storia, linguaggi e analisi sociopolitica si fondono in una sola armonia, in un momento di grandissimo teatro. 
Lavorando su leggende popolari e su testi canonici del Trecento, Dario Fo compone un’immagine leggera e non agiografica di san Francesco: lo spoglia dal mito e ce lo consegna come un personaggio quasi moderno, rivoluzionario, provocatorio, coerente, coraggioso e ironico. Ben lontano dai “santini” edulcorati, ad uso di fedeli e di bigotti, elaborati e manipolati con ipocrisia dalla Chiesa, nella sua antica tradizione censoria e punitiva.

Ci trascina nel suo mondo semplice, ma avventuroso e picaresco, e a volte un po’ paradossale: la pace, la guerra, l’amore per la natura, la fratellanza, il dolore e la gioia, la ricchezza e l’umiltà. 
Temi di ieri e di oggi in tre ore di spettacolo raffinato, prezioso, provocante, e senza intoppi o sbavature, che diverte, che commuove e che colpisce soprattutto i laici, affascinati dalle storie di eccezionale umanità che sfociano nella santità cristiana.

E’ l’apologia della satira, il trionfo dell’ironia e della commedia, la celebrazione di un genio che il mondo ci invidia.

 23 giugno 2014                                     (Alfredo Laurano)

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