mercoledì 5 ottobre 2016

QUANDO IL BULLO È DONNA


A livello giovanile, la violenza, oggi, è un esercizio che si pratica anche al femminile. Spinte, schiaffi, pugni, intimidazioni, minacce e prese in giro per offendere e screditare pesantemente una coetanea. Il bullismo in stile donna è più tagliente, psicologico e incisivo.
Bulle, bullette e baby gang di adolescenti e ragazzine disturbate contendono il primato ai colleghi maschi, il cui potere vessatorio e dominante non è più una loro esclusiva prerogativa. 
Sul come e sul perché, dovremmo addentrarci in una lunga analisi psico-sociologica su scuola, ambiente, famiglia, valori e società globale, dell’occidente ricco e degradato. Nei Paesi poveri, questo tipo di rudezza, di aggressività e di dimostrazione di forza non ha motivo d’essere e non si realizza, se non per affrontare problemi di sopravvivenza, di fame e di miseria. 
Non per gioco, quindi, non per sport, non per ammazzare il tempo che una volta era “delle mele”.

Le prove d’autore di “Piccole donne crescono… cattive” e gli episodi di abusi e brutalità si ripetono da anni e il Web ne rappresenta il background, il riferimento certo, l’amplificatore sociale e, come si dice oggi, virale. Forse sta proprio in questo odiosissimo termine che si cela la vera natura e la motivazione ultima che induce tanta codardia.
Colpire, ferire, umiliare, far del male, praticare atti di sadismo esalta il proprio io deviato, la stima di sé, la voglia di protagonismo e di contare, di imporsi, a condizione che tutto questo finisca in Rete, si diffonda “viralmente”, venga apprezzato, ammirato e invidiato con valanghe di “mi piace” e milioni di visualizzazioni su Youtube. Anche se, dice qualcuno, essere famosi sui social è come essere ricchi a Monopoli.
E’ una nuova forma di gioco e di demenza giovanile, di volgare gratificazione, cresciuta a dismisura con le nuove tecnologie.
Tutto si filma e si immortala con lo smartphone: dal romantico tramonto al concerto musicale, dalla festa di compleanno all’erotismo casareccio, dalla lite studentesca allo stupro collettivo.

E allora, succede che una ragazza di 17 anni, completamente ubriaca e incosciente, viene violentata da un ragazzo nel bagno di una discoteca di Rimini, mentre le amiche,  ridendo e sghignazzando, riprendono la scena col telefonino e poi la riversano su WhatsApp.
Che un’altra ragazza ladispolana è minacciata, aggredita e pestata a sangue al Pinar, un locale sull’Aurelia, da altre minorenni in branco e finisce in ospedale, con oltre 30 giorni di prognosi.
Dal recente suicidio di Tiziana Cantone a Napoli - altra vittima dello stalking psicologico e della gogna mediatica - ai tanti episodi di ordinaria violenza quotidiana,  si consuma la tragedia della superficialità e il rito vigliacco dell’indifferenza, senza distinzione di genere.

Siamo di fronte a continue situazioni aberranti, che si ripetono nel mondo dei teen-ager , di fronte alle quali, anziché intervenire, aiutare chi è in difficoltà e subisce sevizie o maltrattamenti, si accende il tasto play del video, come se fosse una cosa normale, divertente, da non perdere. 
E non chiamiamola esuberanza giovanile.
Quando prevale l’esibizionismo, naufraga la razionalità e la capacità di provare pietà, di riconoscere il valore dell’amicizia. Nel  vocabolario di queste “bulle e pupi” non esistono più parole come solidarietà, empatia e umanità.
Questa società è sempre più malata, anche al femminile.
(Alfredo Laurano)


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