A livello giovanile, la violenza, oggi, è
un esercizio che si pratica anche al femminile. Spinte, schiaffi, pugni, intimidazioni, minacce e prese in giro per
offendere e screditare pesantemente
una coetanea. Il bullismo in stile donna è più tagliente, psicologico e
incisivo.
Bulle, bullette e baby gang di adolescenti
e ragazzine disturbate contendono il primato ai colleghi maschi, il cui potere
vessatorio e dominante non è più una loro esclusiva prerogativa.
Sul come e sul perché, dovremmo
addentrarci in una lunga analisi psico-sociologica su scuola, ambiente,
famiglia, valori e società globale, dell’occidente ricco e degradato. Nei Paesi
poveri, questo tipo di rudezza, di aggressività e di dimostrazione di forza non
ha motivo d’essere e non si realizza, se non per affrontare problemi di
sopravvivenza, di fame e di miseria.
Non per gioco, quindi, non per sport, non
per ammazzare il tempo che una volta era “delle mele”.
Le prove d’autore di “Piccole donne
crescono… cattive” e gli episodi di abusi e brutalità si ripetono da anni e il
Web ne rappresenta il background, il riferimento certo, l’amplificatore sociale
e, come si dice oggi, virale. Forse sta proprio in questo odiosissimo termine
che si cela la vera natura e la motivazione ultima che induce tanta codardia.
Colpire, ferire, umiliare, far del male,
praticare atti di sadismo esalta il proprio io deviato, la stima di sé, la
voglia di protagonismo e di contare, di imporsi, a condizione che tutto questo
finisca in Rete, si diffonda “viralmente”, venga apprezzato, ammirato e
invidiato con valanghe di “mi piace” e milioni di visualizzazioni su Youtube. Anche
se, dice qualcuno, essere famosi sui social è come essere ricchi a Monopoli.
E’ una nuova forma di gioco e di demenza
giovanile, di volgare gratificazione, cresciuta a dismisura con le nuove
tecnologie.
Tutto si filma e si immortala con lo
smartphone: dal romantico tramonto al concerto musicale, dalla festa di
compleanno all’erotismo casareccio, dalla lite studentesca allo stupro
collettivo.
E allora, succede che una ragazza di 17
anni, completamente ubriaca e incosciente, viene violentata da un ragazzo nel
bagno di una discoteca di Rimini, mentre le amiche, ridendo e sghignazzando, riprendono la scena
col telefonino e poi la riversano su WhatsApp.
Che un’altra ragazza ladispolana è
minacciata, aggredita e pestata a sangue al Pinar, un locale sull’Aurelia, da
altre minorenni in branco e finisce in ospedale, con oltre 30 giorni di
prognosi.
Dal recente suicidio di Tiziana Cantone a Napoli - altra vittima dello
stalking psicologico e della gogna mediatica - ai
tanti episodi di ordinaria violenza quotidiana, si consuma la tragedia
della superficialità e il rito vigliacco dell’indifferenza, senza distinzione
di genere.
Siamo di fronte a continue situazioni
aberranti, che si ripetono nel mondo dei teen-ager , di fronte alle quali,
anziché intervenire, aiutare chi è in difficoltà e subisce sevizie o
maltrattamenti, si accende il tasto play del video, come se fosse una cosa
normale, divertente, da non perdere.
E non chiamiamola esuberanza giovanile.
Quando prevale l’esibizionismo, naufraga
la razionalità e la capacità di provare pietà, di riconoscere il valore
dell’amicizia. Nel vocabolario di queste
“bulle e pupi” non esistono più parole come solidarietà, empatia e umanità.
Questa società è sempre più malata, anche
al femminile.
(Alfredo Laurano)
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