Francamente, non so se la sceneggiata ciontoliana di
scrivere una risentita lettera all’Ordine dei Giornalisti, per accusare Nuzzi e
Quarto Grado di incapacità e immoralità, sia più ridicola o più patetica. Più
comica o più meschina.
Di certo, è assolutamente incredibile.
Che sia spontanea o suggerita dalla strategia legale, che
sia uno sfogo per vincere la paura e la tensione o un banale tentativo di
scrollarsi di dosso qualche chilo di vergogna, mediatica e reale, ha poca
importanza, anzi nessuna.
Dunque, prendiamo atto che il clan degli indifferenti,
accusato di omicidio volontario e attualmente sotto processo, è profondamente
offeso e discreditato da una trasmissione TV e da qualche milione di cinici italiani
che non comprendono il loro struggimento, le loro pene, le loro angosce
esistenziali.
Ne fanno un fatto di moralità, loro, i Ciontoli, capo banda
in testa!
Secondo gli imputati, rei confessi - che godono ancora del
legittimo privilegio di restare a piede libero - non si può mandare in onda un
filmato di compleanno, dove tutti appaiono sereni e felici, la festeggiata
Martina commossa, il povero Marco grato e fiducioso nei confronti di quella
famiglia, di cui si sente parte, ma che poi, per sbaglio o convinzione, lo
ucciderà!
Non si possono raccogliere pareri e riflessioni di esperti o
di normali cittadini disgustati dall’orrore. Né privilegiare l’uso della
ragione e non dell’emotività in ogni espressione di critica e buon senso.
Tutto questo, scrive l’oltraggiato e indispettito Ciontoli,
dovrebbe essere insegnato nelle scuole come esempio di non giornalismo, di
scarsa deontologia professionale, di come non deve essere la cronaca.
Quella
cronaca che, al contrario del suo convinto pregiudizio, racconta, descrive,
informa, ma non giudica.
E’ stupefacente.
Viene da chiedersi, con non poca incredulità, come un
individuo che ha lasciato morire un ragazzo agonizzante di vent’anni per non
aver chiamato subito i soccorsi, che non ha mai spiegato la realtà dei fatti,
che si è preoccupato solo della sua immagine e della sua professionalità, anche
nei confronti dei medici, che non ha mai pronunciato una sola parola di
pentimento, di partecipazione e di dolore, che non ha mai chiesto perdono alla
famiglia, venga a parlare di moralità.
Con quale coraggio e spudoratezza, in verità, non si può
proprio capire. Forse quello della disperazione.
E’ questo che andrebbe indagato nelle scuole.
(Alfredo Laurano)
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