“Fabrizio Corona non ha ammazzato nessuno e sta (di nuovo) in galera,
mentre i Ciontoli stanno fuori. E’ intervenuto il ministro di Giustizia e hanno
cacciato Clemente Russo dal teatrino del Grande Bordello! Perché non lo fa
anche nel caso di Marco Vannini?”
E, così via, seguendo con altri confronti
e considerazioni poco sensate, o fuori luogo e fuori tema. Come se ogni reato
fosse uguali agli altri, al di là delle accuse, delle prove, della gravità, dei
processi alle intenzioni, delle sensazioni personali e collettive.
Sono solo alcuni singolari commenti, fra i
tanti, che, come un mantra quasi quotidiano, si possono cogliere sui social,
dove il coinvolgimento popolare si esprime miscelando, in parti diseguali, tifo
da stadio, frasi ingiuriose, condanne perentorie, voglia di vendetta, immagini
sacre un po’ pacchiane e appariscenti, foto-montaggi e animazioni intermittenti
di fiori, angeli, mari, soli e stelline luminose, al limite del kitsch, e suggestioni
mistiche e simil-religiose.
Oggi, c’è l’attesissima terza udienza del procedimento
penale a carico dei Ciontoli, per l’incredibile omicidio del ragazzo di
Cerveteri, avvenuto a Ladispoli, che molti in tutt’Italia seguono con attenzione
e con molta partecipazione emotiva. Compreso, soprattutto, il folto gruppo che,
da tempo, si è costituito spontaneamente per sostenere la famiglia e chiedere
giustizia e verità.
Mi piacerebbe sapere, però, da quella parte
di persone sagaci e appassionate di quel gruppo cosa c'entra Corona, cosa
c'entra quello del Grande Fratello e il ministro Orlando con la tragedia di
Marco.
Il ministro di giustizia dovrebbe forse
intervenire sulla Magistratura? Sul processo in corso o addirittura far emettere
la sentenza che tutti aspettano? Pretendere una giustizia immediata e sommaria?
Fare arrestare o impiccare il clan dei Ciontoli?
Non funziona così, cari giustizieri fai da
te, neanche per i mafiosi che compiono stragi, sparano nei bar, fanno sparire
persone nel cemento, sciolgono bambini nell'acido.
In una società democratica e civile, la
giustizia, sia pure lenta e farraginosa, non pratica le vie del qualunquismo,
della vendetta o la legge del taglione. Non agisce per compiacere l'opinione
pubblica infuriata, per cavalcare l'emotività della piazza, per soddisfare la
rabbia o le forme di isteria collettiva.
L'atroce vicenda di Marco non è e non può
essere la pietra di paragone di tutti i misfatti dell'umanità.
12 ottobre 2016 (Alfredo Laurano)
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