martedì 30 aprile 2019

SI DICE IN PRETURA

E no, cara Roberta Petrelluzzi, non è vero che “solo le vittime, spinte dalla propria disperazione, hanno il diritto alla protesta, anche a quella più rumorosa”. Non è vero che “il troppo clamore spinge tutti a radicalizzare il proprio convincimento e non contribuisce a fare giustizia”.
Secondo l’articolo 101 della Costituzione, ogni sentenza – quale massima espressione dell’attività giurisdizionale – viene pronunciata “in nome del popolo italiano”, quindi anche nel mio, del singolo e della collettività dei cittadini. Abbiamo, pertanto, il sacrosanto diritto-dovere di indignarci quando quel giudizio, pur rispettandolo, ci appare ingiusto, inadeguato, insufficiente o scandaloso. 
Criticare le sentenze e i comportamenti dei magistrati (specie quelli deontologicamente scorretti) significa anche esercitare il «contrappeso» all'elevato grado di indipendenza e di autonomia della magistratura. 
Il diritto di critica e la censura nei confronti dell’operato altrui non può essere però una scusa per gratuiti attacchi alla persona ed arbitrarie aggressioni al suo patrimonio morale. Deve essere esercitato, essenzialmente, nel rispetto della dignità altrui, quale controllo democratico sull’esercizio del potere giurisdizionale.

Tornando alla trasmissione “Un giorno in Pretura”, sul caso Vannini, qualche semplice osservazione.
Le fasi processuali, raccontate in sintesi e, ovviamente, scelte e montate, hanno evidenziato qualche ulteriore interrogativo, peraltro, già noto e che conoscevamo, al di là dell’obiettività narrativa.
Dopo lo sparo e il ferimento di Marco - casuale, colposo o involontario - il comportamento di tutti gli imputati è stato doloso e intenzionale, mirato e concordato, soprattutto dopo il ritrovamento del bossolo da parte di Federico.
E soprattutto, quando sono arrivati i sanitari del 118 (in codice verde, secondo quanto dichiarato nella telefonata), quando ormai tutti sapevano dello sparo. Ma nessuno ha detto nulla dell’accaduto, nessuno ha parlato del colpo di pistola.
Quindi, tutti consapevoli e deliberatamente omissivi della verità, hanno accettato il rischio morte, viste le condizioni di Marco, che peggiorava, la sua mancanza di lucidità, i suoi lamenti, i dolori strazianti: nonostante ciò, hanno taciuto.
Poi, le contraddizioni di Martina. Oltre a tenere la mano a Marco, a dirgli “amore stai tranquillo” e a dargli acqua e zucchero, non sentiva le sue urla disperate, ben udite dai vicini e nel corso della telefonata al 118? Per lei, era solo qualche timido gemito o mugolio a intermittenza?
Una curiosità insoddisfatta: come mai non è mai comparsa la signora Pezzillo, moglie del Ciontoli? Non è stata mai sentita nelle udienze?
In conclusione, colpa, dolo, delirio, confusione mentale, inadeguatezza, incapacità di capire, di fare, di agire, di salvare la vita di quel ragazzo di vent’anni, entrato poche ore prima in quella accogliente casa per fare un rigenerante bagno di salute. 
Con le pistole nella vasca al posto delle paperelle.  
(Alfredo Laurano)

UNO SPOT IN PRETURA

Uno strano espediente per lanciare la ripresa di un programma storico come “Un giorno In Pretura”, che riparte domenica sera su Raitre. Un bizzarro e anche un po’ vile modo di fare e farsi pubblicità. 
Una scelta di campo, moralmente meschina, per garantirsi una buona dose di visibilità, proprio all’esordio, con un post insolente, irriverente e offensivo, nei confronti della famiglia Vannini e di tutti i suoi sostenitori.
Uno spot di solidarietà - di fatto, un clamoroso autogol - che si pregia far sapere a Martina Ciontoli, che “siamo assolutamente in disaccordo con questo accanimento mediatico che, non si capisce perché, vorrebbe la vostra morte civile”.
Nessun trailer, nessun "prossimamente", nessun lancio, video o promozione avrebbe suscitato tanto interesse e aspettativa da parte di un potenziale pubblico, verso un nuovo programma o una sua riedizione. Null’altro avrebbe fatto tanto o di più.
Parafrasando le parole e il testo del prosieguo del post della veterana Roberta Petrelluzzi, non si può non condividere che “è un segno dei miseri tempi che stiamo vivendo, dove l’odio e il rancore prendono il sopravvento su qualsiasi altro sentimento”.
Già, proprio così, cara signora, è un fatto di sensibilità e di salvaguardia dei sentimenti umani.
E proprio per questo che mi permetto rivolgerle qualche facile domanda, per nulla oziosa, retorica o di circostanza.
Ma Lei, che esprime tanta apprezzabile vicinanza ai “perseguitati” Ciontoli, conosce bene la storia di Marco, i fatti, le dinamiche e i risvolti misteriosi di quella tragica notte di quattro anni fa?
Sa della sua triste agonia, delle sue urla di dolore, delle colpe di quella specie di famiglia dell’orrore che l’ha lasciato morire, per negligenza e leggerezza? Che, volontariamente, non l’ha soccorso in tempo per colpevole superficialità e presunta inconsapevolezza?
E’ informata di come sono state condotte le indagini e di quante lacune, difformità e discordanze siano emerse e state evidenziate (sequestro casa, Luminol, telecamere, audizione vicini, ecc.)?
Ha seguito le vicende giudiziarie, le ricostruzioni, le testimonianze, le intercettazioni, le menzogne e i depistaggi?
Le hanno spiegato il senso delle due sentenze emesse in nome del popolo italiano?
Le hanno suggerito il perché mezza Italia ce l’ha con i Ciontoli e si “accanisce” mediaticamente nei loro confronti?
Intuisce che sono essi stessi la causa di tanta ostilità, livore e rabbia popolare?
Sa perché gli imputati non hanno mai confessato la verità?
Che - se e qualora lo facessero - l'opinione pubblica potrebbe essere molto più clemente con loro e comprenderli, se non addirittura perdonarli?
Se avrà la bontà di dare una risposta a tali quesiti, scoprirà perché non dovrebbe proprio parlare di caso Ciontoli (inadeguato e fuorviante titolo della sua trasmissione), ma di caso Vannini. Almeno per rispetto.
E soprattutto, individuerà chi sono le vere, uniche vittime d questa folle, incredibile tragedia. 27 aprile 2019 (Alfredo Laurano)

LA RISSA D’APRILE, SECONDO MATTEO

Lapidi sfregiate e imbrattate, corone incendiate, memorie offese e vilipese, cortei marziali e teatrini di insana nostalgia. Dalla Sicilia alla Lombardia, da Bologna a Firenze, a Roma, una vile escalation di atti vandalici contro il 25 aprile, anniversario della Liberazione. 
E meno male che, secondo molti, il fascismo non c’è più: è solo pregiudizio, è solo fantasia e folklore, un fenomeno archiviato dalla Storia. 
Qualche saluto romano, qualche aggressione, qualche pestaggio al diverso e allo straniero, qualche canto, qualche svastica, bandiere e tanta nostalgia. 
Tutto qui, poco più di un gioco o un passatempo, che non costituisce mai apologia di reato.
Ma, “Ogni tempo ha il suo fascismo”, scriveva Primo Levi, uno che se ne intendeva, suo malgrado e per necessità.
Ieri, Festa della Liberazione. Festa sì o festa no? 
Ogni anno, alla vigilia del 25 aprile, si riaccende il dibattito sull’anniversario che, dal 1946, celebra la lotta di resistenza, politica e militare, dei partigiani contro il governo fascista della RSI e l’occupazione nazista. 
Si tratta certamente di un momento politico importante per la storia del nostro Paese, ma in quanti conoscono veramente le vicende legate a questa data? 
La Liberazione del 25 aprile 1945 segna, di fatto, la fine della guerra, del regime fascista e dell’occupazione nazista in Italia: quel giorno furono liberate le città di Torino e di Milano, dopo un’insurrezione generale proclamata dal CLN.
Le grandi capitali europee, invece, erano già libere da qualche mese: cortei e manifestazioni riempivano le strade.
Ma annuncia anche l’avvio di una nuova fase storica che porterà a due avvenimenti altrettanto fondamentali: il referendum del 2 giugno 1946, per scegliere tra monarchia e repubblica (occasione in cui le donne potranno votare per la prima volta in Italia) e la nascita della Repubblica Italiana.
“La nostra Costituzione – ha dichiarato Andrea Camilleri – è ispirata a ciò che venne a significare il 25 aprile: non fu una ‘rissa’ tra comunisti e fascisti come dice Salvini. 
C’erano le brigate Garibaldi comuniste, ma anche i partigiani monarchici e quelli democristiani. Lì c’era l’Italia e tu la riduci a una rissa? Io a 93 anni mi sento fremere di rabbia perché dicendo una frase così Salvini offende i caduti di tutte e due le parti, perché i fascisti che andavano a morire giovani credevano in un ideale sbagliato, orrendo, ma ci credevano, così come i comunisti, i monarchici e i democristiani”.
Quest’anno, nessun ministro leghista ha partecipato a manifestazioni o celebrazioni in occasione della Festa. Il vice premier Matteo Salvini, che ha sempre guardato alla data come una ricorrenza troppo tinta di rosso, ha ignorato la "Rissa" ed è andato a combattere la Mafia a Corleone, in Sicilia.

A distanza di 74 anni, complici gli scontri più ideologici che politici che, sempre più spesso, ne snaturano il significato, la memoria storica rischia oggi di scomparire.
A un’amica che mi segnala che in Germania non si sforzano molto a commemorare con corone e discorsetti, che hanno voltato pagina e guardano al futuro, voglio solo ricordare che i tedeschi devono ancora metabolizzare la grande, infinita vergogna che si portano dentro e non hanno di che celebrare, se non la nascita e la morte di Hitler e l’orrore dei campi di sterminio. Non basta voltare tantissime pagine di sangue e atrocità per guardare candidamente al futuro. 
Il passato, l’infamia, l’obbrobrio e la Storia non si cancellano. 
Non si cancella la memoria.
E qui nasce e si consuma un problema di assoluta gravità e assai sottovalutato: sempre più giovani non sanno nemmeno che cos’è e cosa si festeggia il 25 aprile. 
Basta chiedere a qualche studente, tecnologo e fighetto, anche universitario, per avere delle risposte assurde e allucinanti: “Mi cogli impreparato…non me lo ricordo…la Resurrezione, la Festa del Lavoro…la festa della nonna…in storia non andavo bene, meglio in geografia…Liberazione da chi? ...Siamo nel…1969!
E' semplicemente vergognoso! E’ sconvolgente!
Eppure, tutti sono andati a scuola, hanno studiato, superato esami, avranno letto qualche pagina di Storia: ma che cosa hanno imparato? 
E le famiglie, la TV, la stampa, Internet non hanno mai comunicato niente, non li hanno informati di cosa accadeva in questo Paese e in Europa, oltre settant’anni fa? 
Non ne hanno mai parlato, o sentito dire per sbaglio, di stragi, di rappresaglie, di Fosse Ardeatine, anche di fronte a fatti attuali di cronaca politica e sociale? 
Targhe, monumenti, musei, sacrari della memoria, sequenze di nomi di martiri incisi nel marmo non esistono o non contano e non li hanno mai visti, in tutt’Italia?
La loro ignoranza è penosa, insopportabile e ingiustificata! 
Assistiamo a un nuovo analfabetismo, a un vuoto disimpegno esistenziale, a una colpevole apatia e indifferenza che ci allontanano dal nostro vissuto, dall’essere popolo, dal confronto generazionale. 
Sono sempre di più coloro che – complici un sistema scolastico alla deriva, le facili lusinghe tecnologiche e il predominio assoluto del Web e del Mercato – stentano ad avere coscienza degli eventi più recenti. In tale contesto, la necessità di festeggiare una ricorrenza come quella della Liberazione italiana è ancor più pressante e inderogabile.
“E’ una cosa troppo politicizzata che non mi appartiene”, dicono molti giovani intervistati. Come se Storia e politica fossero un’opzione deleteria da rifuggire, una sorta di contagiosa contaminazione da aborrire, una micidiale, esiziale malattia da evitare. 
Basta ascoltare qualche incredibile risposta, condita di ottuse bestialità, che fa accapponar la pelle.
Anche quella, per esempio, di Piero Calamandrei, uno dei padri costituenti della Repubblica, nel suo discorso agli studenti del 1955:
 “…Però, vedete, La Costituzione è un pezzo di carta: la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile, bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica, l’indifferentismo politico che è una malattia dei giovani….
È così bello, è così comodo: la libertà c’è. Si vive in regime di libertà, c’è altre cose da fare che interessarsi alla politica. E lo so anch’io! 
Il mondo è così bello, ci sono tante cose belle da vedere, da godere, oltre che occuparsi di politica. La politica non è una piacevole cosa. 
Però la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni, e che io auguro a voi, giovani, di non sentire mai, e vi auguro di non trovarvi mai a sentire questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, dando il proprio contributo alla vita politica”. 26 aprile 2019 (Alfredo Laurano)

venerdì 26 aprile 2019

SAGRA PAESANA, MA DI LIBERTA’


Secondo Libero e il solito Vittorio Feltri, suo direttore e fondatore, la festa della Liberazione sarebbe ridotta ormai a sagra paesana, a rito stanco e pregno di bolsa retorica.
“Smettiamola di fingerci migliori di quanto siamo. Nel contempo non dimentichiamo di ringraziare i suddetti angloamericani che dopo aver tolto dai piedi le camicie nere ci hanno aiutato a ricostruire decentemente la patria. I cortei e i comizi in piazza dedicati al 25 aprile sono una sceneggiata vuota di qualsiasi significato storico”.
Il 25 aprile, tuttavia e comunque la si pensi, vive e sopravvive, come giorno della memoria: per non dimenticare, per festeggiare la fine dell’occupazione tedesca in Italia, del regime fascista, della seconda guerra mondiale e la vittoria delle forze che hanno partecipato alla Resistenza. Anche in assenza dei partiti che quella lotta animarono, e che oggi non ci sono più, e in presenza dei pochissimi partigiani ancora in vita. Anche se la Sinistra è in profonda crisi, anche se il ruolo della Resistenza nella vita pubblica italiana è sempre più marginale, desueto o superato.
La fine del PCI, inoltre, ha consegnato da tempo quel pezzo di storia ai nostalgici fuori tempo massimo, ai cultori di un passato riscritto e propagandato a uso della propria stessa demenza, a nuovi avanguardisti fai da te e ai tradizionali nemici della causa antifascista.
Esiste oggi e si diffonde, pericolosamente, una nuova generazione politica ispirata all’arditismo, al futurismo, allo squadrismo: fascistelli del terzo millennio, adolescenti indottrinati, razzisti e finti eroi, affascinati da simboli scaduti, miti anacronistici e riti eccitanti e seducenti.
“Abbiamo davanti praterie da riconquistare di fronte a una società atomizzata”, dicono spavaldi.

Il 25 Aprile aiuta a non sottovalutare mai un pericolo sempre possibile e incombente: un fenomeno nazionalista e rivoluzionario, antiliberale e antimarxista, imperialista e razzista che si chiama fascismo, nei suoi diversi abiti, nei suoi diversi travestimenti, nelle sue diverse proposizioni storiche e temporali.
Secondo la definizione che ne dà nel suo saggio, Emilio Gentile, è stato il primo esperimento totalitario attuato in Europa da un partito milizia, proteso ad annientare i diritti dell'uomo e del cittadino, con una concezione totalitaria della politica e dello stato, con una ideologia a fondamento mitico, virilistica e antiedonistica, sacralizzata come religione laica. Ha affermato il primato assoluto della nazione, intesa come comunità etnicamente omogenea, gerarchicamente organizzata in uno stato corporativo, con una vocazione bellicosa alla politica di grandezza, di potenza e di conquista, mirante alla creazione di un nuovo ordine e di una nuova civiltà.
E tutto questo, nonostante l’indifferenza di molti e il cinico menefreghismo di buona parte della classe politica attuale, non si può ignorare, cancellare e perdonare.
25 aprile 2019 (Alfredo Laurano)

COLOMBA DI PACE


E' Pasqua, ma in Sri Lanka le bombe sostituiscono le uova di coccolata e la colomba che, nel diluvio universale raccontato nella Genesi, fece ritornò sull'Arca e da Noè, tenendo nel becco un ramoscello di ulivo come messaggio di pace, è stata ancora una volta ammazzata. E, insieme ad essa, oltre duecento innocenti sono stati massacrati da terroristi, estremisti religiosi.
Gli ordigni sono esplosi, durante le celebrazioni pasquali, in diverse chiese della capitale Colombo e in altre località, ma anche negli alberghi frequentati da turisti. Centinaia anche i feriti. Sembra che alcuni attentatori si siano fatti saltare in aria con cariche esplosive, legate al corpo.

La grande isola dell'Oceano Indiano conta 21 milioni di abitanti e fino a dieci anni fa aveva fatto i conti con la guerra civile - all'origine della quale c'erano contrasti etnici e religiosi - che aveva visto il governo opporsi ai separatisti delle Tigri Tamil.
Nel Paese si trovano infatti cattolici, divisi tra maggioranza cingalese e minoranza Tamil, in tutto il 7,5 % della popolazione, buddisti (oltre il 70%), hindu (12%) e musulmani (10%).
Di recente, le tensioni avevano riguardato tutti i gruppi religiosi: i cristiani avevano parlato di crescenti intimidazioni da parte di monaci buddisti estremisti; l'anno scorso c'erano stati scontri tra la maggioranza dei buddisti cingalesi e la minoranza di musulmani, con alcuni estremisti buddisti che accusavano i musulmani di conversioni forzate all'Islam.

Resta il fatto che, assolutiste e fondamentaliste, le religioni non hanno nulla a che vedere con un presunto essere supremo e creatore, sono uno strumento di repressione del dissenso e di consolidamento del potere assoluto. Anche le storiche Crociate e l’Inquisizione, naturalmente Santa, vanno viste nella prospettiva strategica dell'espansione del potere temporale della cristianità.
Credenze, adorazioni del sacro e del divino, culti di fede e dottrine mistiche e trascendenti, che si fanno ideologia e ragion d'essere, non sono il fine ultimo dell’uomo: sono l'instrumentum regni dei potenti, usati come copertura di scontri fra culture e identità diverse, per dividere popoli ed etnie, per imporre apodittiche verità, per comandare, dominare e sfruttare la maggior quantità di gente.
Non avremo mai tolleranza e serenità, perché le religioni ispirano guerre e stermini per difendere i confini delle proprie concezioni, di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, delle superstizioni di rito, del proprio fanatismo, della propria visione del mondo.
E per questo non portano mai la pace, che resta un sogno e un’inutile speranza.
  Pasquetta, 22 aprile 2019 (Alfredo Laurano)


DIORAMI

Nascita, morte, resurrezione di Cristo su una croce, in una meravigliosa opera di Giovanni Curcio. (Pasqua, 21 aprile 2019)


sabato 20 aprile 2019

NON TUTTI SONO GUASTI


Non tutti i ragazzini italiani vanno a sentire i rumori, i ragli e le volgarità di Sfera Ebbasta, di Traffik e Gallagher o di Young Signorino, nuove avanguardie della truculenza musicale giovanile. Anche se, qualche idiota ha commentato “sinceramente mi fanno quasi rimpiangere la gioventù di Sfera Ebbasta: alla fine sono molto più vicini di quanto si pensi”: il solito qualunquismo di comodo, consunto e riciclato.
Non è così. Non può essere così.
Non tutti sono guasti, fumano e si fanno.
C'è anche un altro pezzo di società, sana, pulita e adolescente, che coltiva valori, coscienza e consapevolezza, che si ammanta di etica bellezza, che si nutre di passione e di futuro.
C'è anche Greta, c'è la piccola Alice di nove anni, c'è una piazza del Popolo con 25mila giovani che sperano, che vogliono cambiare il mondo - come abbiamo provato a fare noi, tanto tempo fa, senza riuscirvi - che si fanno sentire, che pedalano e creano energia sotto un palco.
C'è ancora una speranza di lotta e resurrezione, visto che siamo anche a Pasqua.
Forza ragazzi, fateci sognare, fateci commuovere. (Alfredo Laurano)


venerdì 19 aprile 2019

QUANTO SIAMO GRETINI


Per qualcuno è una ragazzina radical chic che non concluderà mai nulla. Cicciopotamo Giuliano Ferrara detesta la sua figura idolatrica, aborre le sue treccine (come pure Rita Pavone) e il mondo falso e bugiardo che le si intreccia intorno. Poi c’è sempre la scribacchina Maglie - offesa dalla Natura maligna e, quindi, acida e cattiva - che voleva metterla sotto con la sua macchina e il solito Vittorio Feltri, quello di Libero, vecchio ubriacone della Val Brembana che, dall’alto del suo sarcasmo da osteria, le dà della stupidina e la rimprovera, perché non è contenta che il pianeta si scaldi, visto che vive in Svezia dove fa un freddo cane.
La 16enne svedese Greta Thunberg, che si batte contro il cambiamento climatico e in favore di uno sviluppo sostenibile, è comunque diventata un simbolo mondiale dell’ambientalismo, grazie alla sua tenacia di ragazzina terribile, ma anche, dicono i detrattori, per merito di una sapiente azione di marketing pubblicitario montato sulle sue inconsapevoli spalle.
In molti cercano di delegittimarla in ogni modo e di ridicolizzarla, ironizzando, vergognosamente e con profonda miseria intellettuale e culturale, anche sulla sua sindrome di Asperger.

Per tanti altri, idolatrare una marionetta mediatica, concepita a tavolino dall'establishment politico-economico, è solo da imbecilli che non sanno e non capiscono, cosa c’è dietro.
Sono quelli che, secondo il filosofo marxista-sovranista Diego Fusaro, con palese regressio ad pueritiam (tornare bambini), assumono Greta Thunberg a nuova Pizia (la sacerdotessa vergine di Apollo che dava i responsi nel santuario di Delfi) dell'ambientalismo e a scienziata del clima: uno strumento nelle mani della “élite globalista” che ha lo scopo di distrarre le masse dei lavoratori sfruttati dai veri problemi. “Ridere per non piangere: non resta altro da fare”.
Anche Franco Battaglia, professore di Chimica Teorica, in un editoriale ospitato dal sito internet del conduttore Mediaset Nicola Porro, “considera gli ambientalisti i peggiori nemici dell’ambiente” e scrive che “i Gretini (i seguaci di Greta Thunberg) o sono bugiardi o sono assassini”.

In questi giorni Greta si trova a Roma, dove ha prima incontrato papa Francesco, poi ha partecipato ad una cerimonia in Senato e, infine, oggi conclude la sua “vacanza romana”, parlando a piazza del Popolo, dove un Palco a Pedali sarà alimentato dall’ energia pulita di 120 biciclette.19 aprile 2019 (Alfredo Laurano)



martedì 16 aprile 2019

LA BELLA CYNARA


Nella mitologia, si narra della bellissima ninfa Cynara, chiamata così a causa dei suoi capelli color cenere. Aveva gli occhi verdi e viola, era alta e snella: un’autentica bellezza, ma orgogliosa e volubile!
Zeus se ne innamorò perdutamente, non corrisposto. Stufo e sconsolato, in un momento d’ira, trasformò Cynara in un carciofo spinoso come il carattere della ninfa amata.
Al pungente ortaggio restò, però, il colore verde-violetto dei suoi occhi e il cuore tenero, come sa esserlo quello di fanciulla. Poi, qualcuno cedette alla provocante tentazione di metterlo in padella.
Il carciofo, il cui nome in latino è appunto Cynara, era apprezzato dagli antichi Romani e dai Greci, anche se quello che mangiavano i nostri avi non è uguale a quello che troviamo oggi nelle nostre tavole. A quei tempi esisteva la specie selvatica, più dura, piccola e spinosa. I fiorellini azzurri del carciofo servivano per far cagliare il latte nella produzione di formaggio. Erano comunque già note le sue proprietà terapeutiche - come depuratore, tonificante e afrodisiaco - e veniva coltivato sia per scopi alimentari, sia come pianta medicinale.
Un re Egizio, nel 3° secolo a.C., li faceva mangiare ai suoi soldati, famosi per forza e ardimento, perché si credeva dessero tali virtù.

Fino ad arrivare, attraverso un lungo volo pindarico, al “carciofo dal tenero cuore che si vestì da guerriero e ispida edificò una piccola cupola”, di Pablo Neruda, e alla 69sima Sagra di Ladispoli, appena conclusa.

Stand e bancarelle, spettacoli, arte, cultura e degustazioni nei giardini e nella piazza dedicata ai sapori d’Italia. 
Artisti e produttori con le opere del proprio ingegno (sculture di carciofi), mostre di pittura, opere di artigianato, balli, canti, cabaret, concerti classici, bande musicali e bersaglieri, che sfilano tra quintali di carciofi fritti, alla romana, con la pasta e alla giudia.

Spinosi e scontrosi come la Ninfa che li ispira, ma dal cuore soffice e cedevole che il palato prima lusinga e poi commuove.
16 aprile 2019 (Alfredo Laurano)


IN GINOCCHIO DA TE


C’è di che discutere, polemizzare e giudicare. C’è chi approva e si emoziona, c’è chi critica e condanna.
Papa Francesco rompe il protocollo, come non era mai successo prima a un pontefice: in ginocchio e malfermo, bacia i piedi ai leader delle varie fazioni del Sud Sudan che dovranno garantire la fase di transizione del nuovo governo che proverà a portare il Paese fuori da un conflitto civile, tra le varie etnie, che sta causando morte e distruzione.
E non era certo previsto nel testo del suo accorato appello: "Vi chiedo come fratello: rimanete nella pace, andate avanti, ci saranno problemi, ma occorre andare avanti. Voi avete avviato un processo: che finisca bene. Le liti risolvetele negli uffici, non davanti al vostro popolo, così, da semplici cittadini, diventerete padri di Nazione”.
Quanto ha fatto Francesco è un segno di grande cristianità, di grande amore per l’umanità tutta e in particolare per quel popolo che, da tempo, subisce miserie, sofferenze e dolori. Un comportamento che nello stesso tempo irrita e commuove: disteso a terra, prostrato davanti all'altare della difficile, civile convivenza.

Ma perché umiliarsi in questo modo, perché venerare questi nuovi potenti? Per mettere sulle loro spalle una responsabilità di cui dovranno farsi carico? Per dare una grande lezione a tutti coloro che salgono su piedistalli, senza averne né autorità, né autorevolezza?
Molti i commenti e le reazioni a questo ennesimo atto di rivisitato francescanesimo, per implorare la pace: spiazzante, storico, audace, vistoso, eclatante.

Per alcuni, un gesto simbolico e rivoluzionario che ha lo scopo di far riflettere i governanti su quale sia la giusta posizione da assumere nei confronti dei loro rispettivi popoli, al servizio di essi e non al di sopra di essi. Per altri, eccessivo, scandaloso, esagerato e quasi comico: una sorta di patetica sceneggiata, all’ombra del Cupolone. Inqualificabile il livello a cui scende questo papa, veramente imbarazzante
Mettendo insieme molti episodi degli ultimi anni, potrebbero esservi questioni di rilevanza medica alla base di queste peculiari condotte: cioè, in parole povere, non ci starebbe con la testa.
C’è poi chi parla di azione di pessimo marketing. Di segno di debolezza. Di pagliacciata senza senso (pochi giorni fa aveva rifiutato che altri suoi fedeli, che gli baciassero la mano). Di uno dei papi più politicanti della storia della Chiesa cattolica.
Dietro i suoi imprevedibili gesti di apparente umiltà ci sarebbe una tattica di penetrazione coloniale nei paesi poveri. In questo modo verrebbero giustificati anche i picciotti che baciano la mano ai capimafia.

Per altri ancora, ha avuto il coraggio di fare quello che i suoi predecessori hanno fatto solo a parole. Coraggio? Si - risponde qualcuno - se ci si riferisce a gesti teatrale e clamorosi, funzionali solo a far parlare di sé e mirati a mandare avanti il baraccone bimillenario, come, in un modo o nell'altro, hanno sempre fatto i papi, trovando l'occasione più opportuna per restare protagonisti degli eventi.
Ad altri, ha ricordato l'appassionato baciamano di Berlusconi a Gheddafi, che, con atea devozione, prima di lasciarla, quella sua mano, se la portò sul cuore.
Comunque la pensiamo, anche sfidando gli acciacchi e il colpo della strega, a questo Papa piacciono i gesti mirabolanti, spettacolari e sbalorditivi, anche se spontanei e in buona fede: creano stupore e attenzione, determinano effetti speciali, pur di raggiungere uno scopo di pace e carità.
E’ la sua forma di comunicazione, la sua politica evangelica, reinterpretata e adeguata alla contemporaneità.
15 aprile 2019 (Alfredo Laurano)


mercoledì 10 aprile 2019

FURIO FOREVER


Non solo l’oscar alla romanità per Carlo Verdone, premiato al Reale Circolo Canottieri Tevere Remo - “lo stesso luogo dove ho fatto il mio pranzo di nozze”, come ha ricordato - ma anche un magnifico murale, che lo ritrae nei panni del mitico Furio del film "Bianco, rosso e Verdone".
Si, il pedante Furio Zoccano, quel personaggio, metodico e pignolo, creato e magistralmente interpretato da un grandissimo Verdone, rimasto nel cuore di tutti, romani e non, che esasperava la povera Magda (l’indimenticabile Irina Sanpiter, di recente scomparsa) con domande assurde, tabelle di marcia e spese calcolate al centesimo.
Probabilmente è la macchietta a cui gli spettatori sono più affezionati, tanto che lo stesso regista, ringraziando l’autore Piskv per l’affresco, ha aggiunto: “Furio Forever”.
L'opera è stata realizzata dallo street artist, il cui nome si pronuncia Piscu, a largo Enrico Enriquez (Pineta Sacchetti), proprio accanto a un altro graffito dello stesso artista, di alcuni anni fa, che raffigura Alberto Sordi, nelle vesti del celebre marchese del Grillo.

Due grandi simboli romani, due storici e amatissimi personaggi del cinema, due giganti della comicità - presente e passato - sono ora uno accanto all'altro, grazie a "Pinacci Nostri", movimento artistico che utilizza la street art come volano per diffondere la cultura nel quartiere e che ha promosso i due lavori.
"I due murales, collegati tramite una serranda che riveste un ruolo cruciale - spiegano gli organizzatori - sanciscono l'eredità artistica tra Alberto Sordi e Carlo Verdone, sintetizzando in un unico disegno la storia del cinema che attraversa due epoche: un solo murale che trasuda, semplicemente, romanità".
Anche se, come ha detto più volte lo stesso Carlo Verdone, Albertone non ha eredi.
10 aprile 2019 (Alfredo Laurano)


MACABRA IRONIA


La vignetta pubblicata dall'attore americano Jim Carrey, quello di "The Truman Show", che riproduce Benito Mussolini e Claretta Petacci appesi a testa in giù alla tettoia di piazzale Loreto a Milano, è veramente squallida e di pessimo gusto. A corredo, il commento: "Se ti stai domandando a cosa porti il fascismo, chiedi a Benito e alla sua amante”.
Non poteva mancare la risposta di Alessandra Mussolini, nipote del Duce, che è stata: "you are a bastard" (sei un bastardo). 
Quindi ha postato una serie di foto relative ai crimini contro l'umanità compiuti dagli americani: dal fungo nucleare al genocidio dei nativi americani, dalla segregazione razziale, con lo schiavo nero frustrato dal suo padrone bianco, fino alla storia di Rosa Parks, per finire con il celebre scatto dei bambini vietnamiti in fuga dall'attacco al napalm degli americani nel 1972.
Una sequela di orrori americani per dire al ritrovato Truman di vergognarsi e che i suoi disegni sono solo “carta sporca".

Ai tanti che in Rete hanno fatto ironicamente notare alla Mussolini che Carrey è canadese e non americano, bisogna ricordare che l’attore, forse in declino di popolarità e bisognoso quindi di visibilità mediatica, è nato canadese, ma ha richiesto la cittadinanza americana nel 2001 e attualmente possiede il doppio passaporto pur vivendo al 90% negli USA vicino alla figlia e al nipotino.
“Si è arrabbiata per il nonno?” - ha comunque replicato – “Capovolga la vignetta e lo vedrà saltare di gioia”: una battuta scema, in verità, peggiore del disegno.
Comunque, americano o canadese, speculare sulla morte di chiunque - assassinato o meno - non è mai una bella cosa. Non dà prestigio e non aggiunge onore a chi lo fa per manifestare un vago, quanto inutile antifascismo da tastiera o da copione. E’ qualcosa che suscita orrore, che cancella il minimo rispetto dovuto a chi non c’è più, anche se criminale e qualsiasi cosa abbia fatto.

Da antifascista e da non certo estimatore della nipote di Benito, mi dà fastidio questa ipocrisia da benpensanti occasionali che esibiscono il proprio ideale democratico, attraverso una volgare vignetta di due corpi massacrati.
Caro Truman, non sei nel tuo film-show, dove giorno e la notte sono artificiali, così come il mare e tutti i fenomeni atmosferici; non sei nel gigantesco studio televisivo sotto un finto cielo, dove tutte le persone che incontri sono degli attori. La tua non è satira fantascientifica, è solo un’offesa al buon gusto, allo stile e all’intelligenza, ai confini della gratuita malvagità.
La solenne verità è quella della Storia che giudica e condanna un uomo, un popolo e un ventennio buio e doloroso. E la Storia non è certo un reality show, di comparse e figurine.
Pensa alla tua cara America che di danni, morti e massacri in giro per il mondo ne ha fatti anche troppi.
8 aprile 2019 (Alfredo Laurano)

domenica 7 aprile 2019

PORTATELI AI PARIOLI


Il palazzo azzurrino della discordia è ormai vuoto. Gli ultimi Rom sono stati portati via con il solito pulmino che li ha prelevati a tappe e di fronte al cancello sbarrato restano una panchina e quattro sedie in legno: le postazioni dei residenti di Torre Maura per vigilare e assistere alle operazioni di trasferimento. 
Sono gli ultimi atti di una protesta in strada, nata quando, una settimana fa, il Comune aveva portato lì settantasette Rom, del tutto indesiderati.
“Abbiamo difeso il nostro quartiere, dicono alcuni residenti, Ma ora, così come ci siamo ribellati noi, lo faranno anche altri, in altre zone”.
Sgombrare e abolire i campi Rom, veri ghetti dell’emarginazione dell’era contemporanea, per integrarli nella comunità è un’operazione non certo facile e naturale.
Si, perché nessuno vuole averli come vicini, nessuno vuol subire i loro furti, assistere allo spargimento dei rifiuti a cielo aperto, ai roghi per bruciare il rame e i rifiuti. Nessuno ama i loro mercatini abusivi e illegali di cose rubate. Nessuno vuol vederli usare i neonati e i bambini per elemosinare e rubare, sfruttando in modo ignobile anche i disabili e i mutilati che lasciano agli angoli delle strade. Pratiche barbare, incivili e disumane che nessuna legge, nessuna magistratura riesce a debellare, tollerando senza intervenire mai!
La storia degli zingari insegna che questa etnia non ha alcun rispetto per nessun genere di ordinamento, regolamento e legge, che per ottenere i propri scopi usa ogni mezzo, che la menzogna fa parte della loro cultura, che è restia ad ogni sorta di integrazione in una società civile, che sa scegliere come recitare ogni commedia, come colpire le nostre coscienze. Ma chiuderli nei ghetti è comunque peggio, perché si isolano, diventano setta, aumentano l’ostilità verso un mondo nemico e lontano che non è loro.

Tutto ciò premesso e considerato, in questi giorni, in quella periferia romana, si è consumata un’altra fitta dose di intolleranza e discriminazione. 
Gruppi politici come Casa Pound e Forza Nuova hanno soffiato sul quel fuoco antico, hanno cavalcato la protesta popolare, hanno aizzato gli animi (“bruciateli vivi”), sventolando tricolori e bandiere con croci celtiche, oltre ai soliti saluti romani, ai ritriti slogan e all'inno di ordinanza.
Ma si è compiuto anche l’abominevole e sacrilego atto di calpestare il pane che è la sopravvivenza dei poveri: se si nega il pane ai poveri, si nega loro la vita.
Una specie di vaiassa, indemoniata e urlante (fateli morì de fame!), ha dato il via alla profanazione che si è ripetuta, in parte, anche quando alcuni cittadini hanno riportato, simbolicamente, altro pane per recuperare a quell’infame l’oltraggio.

E, mentre quella settantina di reclusi restavano impauriti dietro le finestre, ostaggi della folla inferocita, senza poter uscire nemmeno nel cortile, un ragazzo quindicenne, solo contro tutti, ha dato prova di possedere, oltre al coraggio, intelligenza ed equilibrio, confrontandosi con alcuni militanti di Casapound e spiegando come, a suo parere, non sia giusto convogliare la rabbia e la frustrazione dei romani dimenticati contro una minoranza debole, altrettanto dimenticata, in cambio magari di una manciata di voti:  “a me, non me sta bene che no”.
Le sue parole, come sempre accade in questi casi, sono diventate video e vignette, sono state pubblicate sui social, commentate e condivise da migliaia di persone.
Tanto di cappello, di rispetto e ammirazione per Simone ma, per favore, non sfruttiamo la sua spontaneità, non strumentalizziamolo, non facciamone un eroe o un paladino di parte, come appunto vuole la prassi mediatica e del Web.
6 aprile 2019 (Alfredo Laurano)

lunedì 1 aprile 2019

FATTI UNA FAMIGLIA


Finalmente è finita la kermesse, la sagra della famiglia disegnata su magliette e libretti da catechismo, tra croci, cartelli, preghiere collettive sul palco (Padre nostro) o per la guarigione dei gay, che sarebbero dei malati da curare.
Gli eccessi non potevano mancare: dalla petizione di Forza Nuova per un referendum contro l’aborto, alle polemiche sul divorzio, agli impresentabili e volgari feti di gomma, distribuiti come gadget. Gli stessi organizzatori hanno dovuto allontanare fisicamente i tradizionalisti più estremi o dissociarsi dalle loro idee.
Ma restano tante le domande senza una risposta. Almeno per il sottoscritto.
Perché Verona, città dell’amore, di Giulietta e Romeo e del balcone più famoso nella storia, doveva riunirsi in congresso per disquisire o stabilire se siano meglio le famiglie tradizionali o moderne, etero o gay, di destra o di sinistra, cattoliche, laiche, islamiche o buddiste? 
Qual era il vero scopo del congresso?
Perché riesumare e difendere ad oltranza il concetto arcaico di “Dio, patria e famiglia”, che non è un comandamento o una legge dello stato, ma uno slogan, un imperativo nazionalista, una scelta di comunicazione e propaganda fascista che ha avuto un suo perché, in tempi lontani e assai diversi?
Per una forma annacquata di populismo partigiano e becero, all’interno di un recinto sovranista o, addirittura, orgogliosamente suprematista, ideologico e talebano, quanto basta?
Il riciclo di un motto del Duce, da parte di chi di quei tre concetti si fa scudo, porta a creare un clima di discriminazione, di oscurantismo e regressione culturale, anche condannando decisamente il famoso cartello della Cirinnà che ne fa una sintesi infelice.

La società è profondamente cambiata, le religioni sono tante, coesistono e si confrontano, sia pure con furore e prepotenza, per occupare spazi di manovra, di consenso e di dominio. La patria è ormai il mondo, le minoranze e le diversità vanno salvaguardate e tutelate, le famiglie sono allargate e aperte alle differenze.
Ma perché, secondo alcuni, la famiglia naturale sarebbe minacciata? Da chi o da che cosa? Qualcuno propone di abolirla o limitarne i diritti, solo per darli ad altri tipi di unioni?
Al contrario, tutti vogliono sostenerla e rivalutarla, anche economicamente e con adeguate politiche sociali, visto che costituisce la stragrande maggioranza dei Paesi, il nucleo costitutivo della polis (Aristotele) e che resta la cellula fondamentale di ogni società.

Il World Congress of Families è una manifestazione che attira inevitabilmente diversi personaggi intolleranti, omofobi e misogini, rappresentanti di organizzazioni Pro Life e gruppi di pressione anti-Lgbt che riconfermano l’atteggiamento retrogrado nei confronti di istanze di libertà e diritti, che mettono in discussione l’autodeterminazione di una donna offendendone la dignità. 
Anche in spregio alla coerenza, come quella di un vicepremier, ministro dell’interno e capo di partito, divorziato, con un figlio avuto dalla prima moglie, un altro fatto con una seconda e attualmente fidanzato con la figlia di un suo ex oppositore, e di un’altra leader politica, con un figlio concepito al di fuori del matrimonio, che vanno a Verona per illustrarci i valori della famiglia tradizionale.
Noi siamo a favore della vita - continuano a ripetere, come un mantra, molti fanatici integralisti - noi siamo per l’amore, noi siamo per la famiglia. 
Ma c’è qualcuno che è contrario a queste affermazioni retoriche, che vuole combatterle, che vuole abolirle?

Sostenere la vita distribuendo quei vergognosi pupazzetti contro l’aborto è vile e disgustoso. 
Perché abortire non è mai una festa o un invito al ballo. E’ sempre un dramma, a volte una necessità, una scelta inevitabile e dolorosa di una donna, per una serie di motivi che lo Stato non è in grado di risolvere o anticipare. Senza dimenticare le mammane e le rozze pratiche clandestine, spesso nocive ed esiziali.
E tutto ciò, al di là del commercio della maternità surrogata, della pratica dell'utero in affitto, della protezione dei minori, che non devono diventare oggetti di compravendita, e del loro inviolabile diritto ad avere un’identità biologica certa, ferma restando la funzione educatrice della famiglia - quale che sia la sua composizione interna - in grado di dare amore e formare cittadini responsabili, consapevoli e civili.
1 aprile 2019 (Alfredo Laurano)