Sara’ una bella società, fondata sulla
libertà, pero’ spiegateci perché,
se non pensiamo come voi, ci disprezzate
come mai? Ma che colpa abbiamo noi? Così
cantavano The Rokes nel 1966.
Oggi, forse, sarebbe meglio dire, quante
colpe abbiamo noi?
Si, sono il solito
pessimista, fustigatore, vetero idealista, savonarola dei poveri e degli
scontenti. Qualcuno, a volte, lo pensa e me lo dice. “Fatti una risata…non ci
pensare…non te la prendere troppo… pensa positivo”.
Fatto sta, comunque la
si pensi, che troppo spesso mi sento estraneo dal mio essere al mondo, dalla
mia condizione sociale, da me stesso, dallo
spicchio di globalità in cui navigo, o annaspo, o mi muovo e mi
confronto.
Questa folle società del
pragmatismo, del profitto e dell'individualismo esasperato cancella ogni valore
di sensibilità e fratellanza. Tradisce il suo originario mandato sociale di
reciprocità e di mutuo soccorso, naturale e culturale. Discrimina, semina odio
e indifferenza, produce astio, rancore e rivalità, diffonde intolleranza, non
promuove la solidarietà.
Non invita alla pacata
riflessione e alla comprensione o a riconoscere e cogliere quel parallelo
tratto di naturale spiritualità - componente ineludibile del percorso
esistenziale di ciascuno - che consente al nostro essere di rapportarsi e
confrontarsi con la materialità della vita stessa. Un’esigenza di cui non
possiamo, o non dovremmo mai, fare a meno, pur non sovrapponendola al concetto
di religione.
Né, indica la giusta via
dell’essere, del pensiero e della moralità che oltrepassi l’egoismo e il
benessere fisico e mondano.
Che rifiuti le nuove
regole di tendenza e i vigenti riti della modernità, che privilegi la capacità
di compiere scelte autonome, anche banali.
E’ sempre una sfida, uno
scontro, una guerra di tutti contro tutti, tutti nemici di qualcuno: la guerra,
ormai endemica, dell’irrazionalità, dell’umana imbecillità, come quella vera
che ammazza la vita e distrugge l’ambiente.
Tutti, quando va bene,
pronti a gettare fango, a sputare insulti, a giudicare, istigare e condannare,
a lanciare “fatwa” a chi nemmeno si conosce, solo perché stiamo tornando a
“Homo homini lupus”.
Potrei fare mille
esempi, ma è del tutto inutile e non serve.
È sotto gli occhi di
tutti quel che accade e ci circonda: basta sfogliare un giornale, un TG, una
pagina del Web per trovare continue tracce o piantagioni di veleno, di rabbia e
di disprezzo.
Non è più il tempo delle
mele, della pietà e dell'umanità.
Il mondo corre verso il
nulla, senza nemmeno sapere perché.
E’ la coscienza
individuale che deve rinascere e riprodursi in quella collettiva, per
restituire dignità a quell’essere che chiamiamo uomo, per distinguerlo dal
mostro e dalla iena.
Ma ricordiamoci che
l’abbiamo creata noi, questa bella società, non Dio o la natura o il grande
Bang.
(Alfredo Laurano)
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