Non sono un esperto di cose turche, né, tanto meno, un
analista politologo, ma sentir parlare di “democrazia salvata e legalità
ripristinata”, in Turchia, dopo 265 morti, centinaia di feriti, oltre 2.800 militari
arrestati, 2.745 giudici rimossi e una decina di magistrati fermati, mi suona
strano nella testa. Tutto fatto e disfatto in poche ore.
Sembra essere più una resa dei conti che un improvviso e inverosimile tentativo di colpo di
stato.
Questo golpe, così poco convincente e dai contorni quasi amatoriali,
che ha visto occupare e, quasi subito, liberare i centri del potere e della
comunicazione - mentre Erdogan era in gita aerea precauzionale - sembra più un’operazione
studiata, organizzata e messa in atto dallo stesso presidente e dal suo
entourage.
Una manovra sanguinaria che gli ha consentito di fare subito
quelle "pulizie" che non avrebbe mai potuto fare, senza doverle
spiegare, anche ai paesi alleati e alla EU. Ora non ha bisogno di spiegare
niente. Ora non c'è più nessuno a contrapporsi alla sua ulteriore deriva
autoritaria.
Sul fronte interno, le inclinazioni dispotiche e
antidemocratiche di Erdogan ora avranno piena legittimazione - già si parla di
ripristino della pena di morte per i golpisti che, forse, spariranno e noi non
ne sapremo nulla - e molti temono una
ulteriore spinta verso l'islamizzazione della Turchia, paese laico con il 98%
di musulmani.
Quasi tutti condannano l’azione tentata dell'esercito, immediatamente
repressa dal popolo democratico e dalla fedelissima polizia, ma continuano a
tacere sul golpe che Erdogan continua a portare avanti.
Vende armi al califfo in cambio di petrolio, fa incarcerare
come traditori i giornalisti che documentano tale accordo, con l’accusa di spionaggio
e terrorismo e chiude tre giornali.
Soffoca manifestazioni pacifiche di piazza con
l'uso della forza.
Spara a vista ai profughi siriani, lungo il confine. Rompe
la tregua con i curdi, arsi vivi, bombardando le postazioni in Iraq e in Siria,
da cui cercano di combattere l'Isis e con una serie di leggi liberticide massacra tutto il Kurdistan.
Sospende
l'immunità parlamentare, mettendo i deputati delle opposizioni sotto il ricatto
dell'arresto.
Erdogan - l'uomo della repressione - rivendica il suo stato
di premier liberamente eletto.
La democrazia vale all'occorrenza, tra un'oppressione e
un'altra. E’ un'altra prova del regime che vige in quel Paese. Il potere
esecutivo e quello giudiziario sono già nelle sue mani manca solamente quello
legislativo.
La situazione è confusa, ma il fallimento del colpo di stato
e il suo ritorno dalla passeggiata nei cieli della mezza luna, dopo i fatti
della notte, non sono una buona notizia per la stessa democrazia e per i suoi
oppositori. Tutto sembra contribuire a
rafforzare e blindare il suo potere.
17 luglio 2016 (Alfredo Laurano)
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