Come sempre e come al solito, dopo il disastro, partono le
polemiche, le inchieste, le ricerche di responsabilità, le commissioni, le
chiacchiere infinite. Le ragioni, da raccontare all’opinione pubblica turbata, che
possano spiegare, o far digerire, l’ennesima sciagura. Non certo giustificarla.
E arrivano, al tempo stesso, le solenni dichiarazioni, le
promesse, la ferma volontà delle istituzioni e del governo: “cercheremo i colpevoli… chi ha sbagliato
pagherà… non ci fermeremo… mai più queste catastrofi!”. Esattamente, come
dopo il naufragio della Costa Concordia, il rogo della Tyssen, la strage di
Viareggio e via ricordando.
E tutti noi, sconcertati e costernati, esprimiamo solidarietà,
commozione, partecipazione e doniamo sangue. E’ un rito ormai consolidato che
fa parte della quasi quotidianità e dell’assuefazione alla tragedia. Come fosse
una calamità naturale.
A Corato, due treni impennati, sbriciolati e accartocciati
su un binario unico. Nascondono centinaia
di persone e di corpi altrettanto incastrati. Quelli lontani dalle vetture di
testa sono stati fortunati e, in qualche modo, sono riusciti a uscire indenni
dai quei vagoni maledetti.
Scene spaventose e allucinanti raccontate, fra lacrime e sudore, dai soccorritori che, per lunghissime ore e in condizioni impossibili (tute, caschi e misure di sicurezza), hanno scavato e cercato, fra i detriti, i rottami e le lamiere arroventate da una temperatura di 40 gradi, superstiti e persone ferite e sanguinanti, tra tanti morti, che chiedevano aiuto, che piangevano terrorizzate.
Su quel binario solitario non c'è automatizzazione, ma è
previsto un sistema a chiamata tra le stazioni: il cosiddetto “blocco
telefonico”. Le stazioni avvisano dell'arrivo dei treni e trasmettono con dispaccio
le informazioni ai macchinisti: una delle due stazioni potrebbe non aver bloccato
uno dei due treni o uno dei due non ha ricevuto o rispettato il blocco.
Uno scontro frontale fra due treni locali che viaggiano su rotaia
unica e dimenticata, oggi, non si riesce proprio a concepire: le automobili si
guidano da sole, i robot esplorano campi e luoghi d’ogni tipo e pericolo, i droni
riescono a colpire con precisione chirurgica obiettivi a migliaia di chilometri
di distanza. Solo in campo ferroviario si usano ancora sistemi arcaici di
segnalazioni di sessant’anni fa e non si riesce ad impedire che due convogli si
scontrino su un binario solo, triste e solitario, che ancora, largamente esiste
nel sud d’Italia e in buona parte della Puglia.
In quel profondo Sud ma, in qualche caso, anche nel profondo
Nord, scopriamo che non esistono tecnologie, quasi elementari, e automatismi
che possano prescindere da una dimenticanza, da una leggerezza o dall’errore umano ed evitare catastrofi e disgrazie.
E vogliono ancora realizzare il Tav! Un'opera costosissima di alta velocità, inutile e
superflua, quando una parte
dell’Italia, soprattutto il Mezzogiorno - terra di sprechi, di mafie e clientelismo - si
ritrova con infrastrutture ferroviarie da paesi del terzo mondo.
13 luglio 2016
(Alfredo Laurano)
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