La sua chioma rossa, nell’immaginario
sportivo e popolare, ha anticipato di molto quella dello stravagante Trump.
Comunque la si pensi, comunque
lo si giudichi, da un punto di vista umano e professionale, Aldo Biscardi - che
oggi ha lasciato questo mondo e quello a lui caro del pallone - ha
rivoluzionato il modo di raccontare il calcio in televisione, tra successi,
chiacchiere, polemiche e veline.
Il suo Processo del Lunedì è
stato una specie di grande bar sport degli italiani, più o meno malati di
calcio o affamati di partite, dove si scontravano tifo, sfottò e campanilismo.
La super moviola o il
moviolone, le chiacchiere inutili, il folklore di certi ospiti ululanti, il
litigio sistematico, i rigori non rigori, dati o non dati, i sospetti, l’attenzione
più o meno autentica alla "ggente”, una certa sudditanza nei confronti delle “grandi”:
il Biscardismo è diventato ben presto un genere televisivo.
Nella sua semplicità, con la
sua dizione dialettale e con l’esperienza dell’uomo della strada, il tenace
abruzzese ha capito che la “ggente” ama i processi e le accuse agli arbitri e
agli avversari.
Ha intuito che le discussioni davanti
alla tazzina di caffè del lunedì mattina, infarcite di ovvietà, banalità,
aggressività, contraddizioni e prive di oggettività, potevano essere amplificate
e portate in tutte le case, grazie alla TV, pur nei limiti di un intrattenimento
approssimativo, colorito, a volte urlato e anche un po’ trash.
Competenza, preparazione e tecnicismi,
d’altro canto, non erano qualità richieste e necessarie a quel tipo di tribunale
popolare, assai vicino al circo, perché il Calcio, e tutto ciò che gli ruota
intorno, sfugge a regole certe e indubitabili, a quelle del buon senso e non
può essere catalogato, omologato o inquadrato in termini assoluti.
È passione, non razionalità. E
lui, nel bene e nel male, sapeva raccontarla.
(Alfredo
Laurano)
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