Le meravigliose femmine di
Carlo Grechi - tristi, pensierose, vaghe, sognanti, annoiate, deluse, dolci,
severe - guardano in solitudine
le stesse acque che avvolgono il Castello “baciato dal mare”.
Straordinario gioiello di
storia, cultura e archeologia, il maniero di Santa Severa - rimasto chiuso per
oltre dieci anni di lavori di restauro, ha di recente riaperto i suoi spazi al
pubblico, all’arte, agli spettacoli, alle visite all’interno di quelle mura,
segnate dalla Storia.
Siamo in un luogo
affascinante, a due passi da Roma, e, mentre timidamente il sole tramonta,
anche attraverso le finestre di quelle antiche sale, la magia dell’arte si
distilla e si discioglie in quella, cornice suggestiva, senza limiti e censure,
che solo la natura e l’ambiente sanno regalare.
È tantissima la gente che
visita la mostra di Carlo Grechi, che apprezza le sue opere, che le commenta,
che rimane incantata da quei colori e quelle forme che costituiscono il suo
“eterno femminino”, che ne raccontano la sua sensibilità pittorica: quelle
donne sono l’essenza della femminilità percepita come mistero, incanto e
fascino, cui l'uomo o l’artista s’arrende e vi soggiace.
Quelle donne che da sempre
sono una “magnifica ossessione”, nelle loro mille sfumature, nelle pose,
nell’animo, nei gusti, nei ricci e nei capricci.
Sono, forse, anche
l’espressione della sua idea della donna, amata e pensata nei suoi mille
contorni, nelle sue infinite proposizioni.
O simboleggiano il suo intimo
e inconfessato racconto di una ipotetica donna ideale, che tutte le comprende:
nuda o vestita con abiti semplici, scalza, seduta, china, sdraiata, silenziosa
o che comunica con lo sguardo e la postura, in un lirico linguaggio non
verbale.
Sono eteree e carnali,
sensuali e voluttuose, immaginarie e reali nello stesso attimo fuggente.
Vivono una dimensione propria,
senza spazio e senza tempo, anche se rappresentate nella quotidianità, in
ambienti naturali o familiari, come una casa, una stanza più o meno spoglia, un
pavimento, una spiaggia, con un gatto, un tavolo, un letto, un libro, con
un’altra sé stessa o accanto a una finestra per sognare.
Fanciulle giovani,
magre e senza orpelli che guardano al passato e al futuro, che si guardano
dentro per scoprirsi fragili, ma vere, in un mondo nefasto, che osservano con
distacco, anelando spazi lontani e speranze propizie.
Divinizzate, mitizzate,
ossequiate, anche se normalissime fanciulle, per l’autore sono quasi creature
superiori in un universo contemplativo e magico, dove l’amore si unisce al
desiderio. Una legittima, piacevole e ricorrente attenzione, scevra, però, da
ogni e qualsiasi risvolto morboso o patologico.
Ogni pennellata cattura un
gesto, un particolare, un’espressione che scopre la forza e la bellezza di
ciascuna. Gli sfondi, i contorni e le ambientazioni sono racchiusi nella misura
di un singolo frame e non invadono più del necessario.
Sulla tela o sulla carta
paglia, con la china, con l’acrilico o i pastelli, quelle figure restano
sospese nel mistero della vita, ma sono autentiche e speciali. Ombre, luci e
colori intensi tracciano la storia delle donne in ogni “inquadratura”, fino a
farle diventare prima immagine, poi simbolo universale.
L’eterno, immutabile, fascino
femminile esiste da sempre, nasce con il mondo, va oltre i miti, le mode o il
costume, vive di luce propria nell’universo non solo maschile.
Nel piccolo Eden che ha
costruito Grechi, lo stupore e il piacere si fondono con la spiritualità, alla
ricerca di una difficile, ma forse possibile felicità.
E quelle femmine, che quel
paradiso abitano, sono coinvolgenti, uniche, originali e non si fanno mai
dimenticare.
Perché ognuna è donna, mistero
senza fine.
22 ottobre 2017 (Alfredo
Laurano)
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