L’Italia
manda in pensione uno dei concorsi a premi che ha caratterizzato un pezzo della
sua storia del costume e della tradizione, dal secondo dopoguerra in poi: un
emendamento dalla Manovra finanziaria lo cancellerà insieme al Totogol, sostituendolo,
pare, con un nuovo gioco gestito dai Monopoli.
Introdotto
nel 1946, il Totocalcio, da sempre e da subito, è entrato nell’immaginario
collettivo di quasi tutti gli italiani, come gioco nazional-popolare e come ancora
di salvataggio economico di chi provava a cambiar vita con l’1X2 della schedina:
tutti inseguivano un Tredici milionario.
Si
giocava singolarmente o anche in società, a quote, e poi con mille pronostici
varianti e sofisticati sistemi, basati sul calcolo delle probabilità e delle
statistiche. I sistemisti più esperti adottavano astrusi calcoli matematici per
realizzare giocate multiple che escludessero determinate combinazioni: per
esempio che il risultato “2” uscisse tre volte di seguito nella stessa colonna,
o l’ ”1” più di quattro e cosi via di seguito.
Adesso,
dopo la crisi degli ultimi anni, dovuta alla liberalizzazione delle scommesse, che
catturano l’interesse di tanti giocatori, ma soprattutto alla frammentazione
continua del campionato, non ha quasi più senso: come scommettere sui 13 mitici
risultati, poi diventati 14, se lo spezzatino del calcio, fra anticipi e
posticipi dal venerdì al lunedì, fra orari prandiali, pomeridiani e serali,
prevede partite in onda ogni momento, secondo le regole e le esigenze
commerciali delle Pay TV?
Una
volta, le partite si giocavano, in contemporanea, solo la domenica e solo alle
14 o alle 15 e, subito dopo, cominciavano a svanire o a concretizzarsi i sogni
di milioni d'italiani, con la radiolina incollata all’orecchio per seguire i
risultati di “Tutto il calcio, minuto per minuto”: Il catalizzatore di questi
sogni milionari, era proprio la mitica schedina, destinata alla scomparsa.
Pochissimi
ancora la giocano, forse per abitudine, ma senza la passione di una volta.
Il
Totocalcio resta e rappresenta, tuttavia, una fase rituale, apotropaica e
propiziatoria, dei nostri comportamenti collettivi e del calcio di un tempo,
ormai cancellato dalla realtà, ma ancora vivo e presente nei nostri ricordi.
Ogni
sabato, ci si recava dal tabaccaio, si ordinava un caffè e lentamente ci si
chinava su quel foglietto colorato. Si rifletteva, si facevano due calcoli in
silenzio, si roteava un po’ la penna e si dava inizio alla mistica funzione:
uno-ics-due,
con o senza le doppie o le triple, compilata e ricopiata su tre riquadri
uguali. La schedina, su cui il ricevitore applicava in alto, con la colla, il talloncino
gommato di convalida della giocata, veniva poi tagliata a mano con un righello,
in tre parti, “figlia-spoglio-matrice”: la prima andava al giocatore, la
seconda alla ricevitoria e la terza al Totocalcio.
Quando
ero ragazzo, alle cinque della domenica pomeriggio, anziché uscire con gli
anici che andavano a ballare, per guadagnare un paio di mille lire, entravo insieme
a tanti nella sede del Totocalcio a Ponte Milvio per spogliare montagne di schedine,
con precisione, con occhi attenti, concentrazione, buona memoria e velocità.
In
un unico stanzone, a ciascuno seduto a un banco o a un tavolino, veniva
consegnato il suo bel pacco pronto di schede fermate con l’elastico. La colonna
vincente veniva annunciata in sala da un microfono (e subito trascritta) e
scattava immediatamente l’esame. Era vietato sbagliare, niente spazio alle chiacchiere
o alla stanchezza per garantire precisione e puntualità.
Dovevamo
controllare, una ad una, le parti di schedine, per verificare quelle vincenti.
Tutto era eseguito rigorosamente a mano, nel giro di poche ore, perché si
doveva comunicare per tempo a Sisal Milano l’esito del concorso, indispensabile
a stabilire e annunciare le quote dei vincitori. Poi, venne l’automazione.
Un’abitudine
collettiva, un antico rito settimanale a cui non si rinunciava mai: quando si
dimenticava di giocare la schedina, si usciva di notte alla ricerca di un bar
aperto fino a tardi, che contribuisse a portare un sogno nelle case di tantissimi
italiani.
Almeno
fino alla domenica pomeriggio, quando prima la radio, poi la TV, comunicavano alla
nazione se eravamo diventati milionari o se dovevamo rinviare, ancora una volta
quel nostro difficile, ma appagante sogno.
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