Questa
festa tanto amata. Questa festa che tutti aspettano con fremiti e palpitazioni.
Natale non è solo una ricorrenza, non è solo una festa. O, perlomeno, da anni
ormai non lo è più, è diventata altro.
Luci
sfolgoranti, addobbi nelle case e nelle strade, vetrine decorate, alberi pieni
di palle e intermittenze, qualche raro, approssimativo presepe, anche diffuso,
vivente o semovente, per giustificare una certa tradizione.
Ma,
soprattutto, Babbo Natale, le sue renne e i suoi spesso inutili regali.
La
nostra adorabile società dei consumi ha, praticamente, trasformato
l’incarnazione del sacro bambinello nella figura di un vecchio barbone apparentemente
alticcio, di rosso vestito, dal viso ebete e paffuto, che si muove su una slitta
immaginaria.
Che
non ha nulla a che vedere con quel povero Cristino. Che non è nonno, né lontano
parente di quel frugoletto nato per sbaglio in una grotta, al gelo, appena
ecologicamente riscaldato dal fiato di un bue e un asinello.
Ma
allora, chi è quel ciccione rosso che dicono venire dalla Lapponia?
Un
extracomunitario buono e generoso, che piace anche a Salvini? O un abusivo che
si è appropriato di quella tradizione?
No,
è la personificazione per eccellenza del consumismo. Il volto vero della
speculazione commerciale, della discriminazione sociale che premia i ricchi e i
privilegiati per quello che sono, non per quello che fanno. E’ il piazzista di
Amazon, il nuovo ambasciatore delle merci a domicilio.
Da
troppo tempo, Natale è festa del conformismo, dello spreco, del consumismo
sfrenato, che insegue i beni materiali.
Basti
osservare il traffico nelle strade di macchine e persone: file, caroselli,
clacson, negozi e bancarelle, dove trovare la cosa giusta per caio o per
sempronio: “na cosetta”, “basta il pensiero”, che unisce tutti in un delirio
collettivo.
E
poi il Cenone obbligatorio, “cor fritto de broccoli, de pesce e il capitone; li
spaghetti ar tonno, er baccalà e l’insalata de rinforzo, dove “te devi sfonnà”,
come si dice a Roma, pe rispettà l’usanza e la leggenda. E pe finì, li
panettoni, lo schiumante e li torroni che te spiaccicano li denti”, prima de
aprì, satolli, li pacchi infiocchettati”.
C’è
gente che va ancora a messa la notte di Natale e poi per tutto l'anno è cattiva,
razzista, falsa, intollerante, indifferente e maldicente. Na volta, se
chiamavano farisei.
Iglesias, la via della solidarietà |
Simbologie
e credenze antiche, culture ancestrali e primitive, arcaiche liturgie,
sopraffatte dalla tecnologia, dal Mercato e dai suoi ambigui miti.
Riti
cristiani che, a Natale, più pagani non si può, dove i sentimenti sembrano
prevalere sull’ignoranza e l’egoismo, dove si diventa buoni e generosi, a
comando, per un giorno, perché lo dice il calendario. Auguri, baci, abbracci e
pacche sulle spalle in un quadretto triste e finto, che suggella il
cerimoniale. Ipocrisia portami via.
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