Torturato e massacrato a coltellate e colpi
di martello, a 23 anni, durante un lungo festino a base di 1500 euro di coca, di
alcol e sesso gay. Un omicidio
premeditato, aggravato dalla crudeltà, dalle sevizie e dai futili motivi.
Per gioco estremo, per noia, per bisogno di brivido
ed emozioni forti, per una intensa scarica di adrenalina, quale diversivo alla
propria nullità. Senza, all’apparenza, un qualsiasi altro movente.
“Ti
vogliamo pulito, dicono alla vittima, fatti una doccia”. E quando esce, mezzo
nudo, gli sussurrano brutalmente “Abbiamo
deciso di ucciderti”.
Siamo oltre la più feroce bestialità, che
solo un umanoide guasto può consapevolmente esprimere.
Il giovane Luca Varani, viene reso
inoffensivo, intontito e stordito da una mistura di farmaci e metadone e subito
torturato con coltelli e un martello.
L’agonia dura ore. Viene sgozzato prima di
essere ucciso e non urla, né chiede aiuto, perché gli hanno reciso le corde
vocali. Decine di ferite fino all’ultima, decisiva, al cuore.
Gli inquirenti lo troveranno con il coltello
ancora conficcato nel petto.
Dopo aver ucciso, i due assassini dormono a
fianco del cadavere per circa sei ore.
Una vita vissuta sniffando e sballando, come
in tante altre precedenti occasioni, con altri soggetti che ne sono usciti per
fortuna vivi, dove il vuoto esistenziale, casualmente intriso di occasionali
rapporti sociali e incontri personali anaffettivi, viene riempito da spazi e
soggetti quasi virtuali.
In un non luogo, o luogo dell’apparenza e
del verosimile, come quello dei social e del Web, dove è facile costruire
un’identità che manca, disegnare un percorso fittizio della propria esistenza, tra
le vie dell’alcol e della droga, e incontrare altri figuranti dell’essere. Come
pretende la cultura dello sballo portata alla massima espressione.
Un limbo privo di passioni vere, di slanci e
di umanità, dove l’assenza di ordinaria quotidianità si riversa drammaticamente
nel patologico bisogno di provare qualcosa di forte, di eclatante, di non
comune: uccidere “per veder l’effetto che
fa”, come hanno candidamente confessato le due belve umane e come
stupendamente cantava il grande Jannacci, mentre andava allo zoo comunale.
Vengo anch’io? No, tu no. Anzi, si.
Per completare questa insensata fiera del
disgusto, non poteva mancare uno spicchio di farsa nella tragedia, in ossequio
alla vigente cultura mediatica, che spettacolarizza morti, disgrazie e violenze
d’ogni tipo.
Il padre di uno degli assassini ha avuto il
bel coraggio e l’improntitudine di presentarsi in TV, dal solito, nauseabondo
Vespa - depositario e cantore di intrighi politici, drammi umani, risotti e
gossip quotidiano - per difendere, con lucidità e distacco, e senza un minimo
di naturale sconvolgimento, il proprio figlio, che aveva appena ammazzato per
capriccio un giovane quasi sconosciuto: “Un ragazzo modello, buono e riservato,
contrario alla violenza e con un quoziente intellettivo sopra la media”.
Mancava solo che aggiungesse “un figlio che tutti padri vorrebbero avere!”
Che fortuna poter avere un ragazzo così “modello”, modello esemplare di una vita
rovesciata, sprecata e trascorsa tra vizi, festini, cocaina e altre mitiche
imprese eroiche e umanitarie. Un privilegio che mi pregio di non godere.
Sia ergastolo per lui e per il suo abietto
sodale, spietato assassino.
La società civile della gente che ama e che
lavora, e di tutti gli altri padri, non ha bisogno di questi modelli rari e
schifosi, da museo degli orrori.
Questi
“modelli” devono marcire in galera.
10
marzo 2016 (Alfredo Laurano)
Nessun commento:
Posta un commento