Non è facile penetrare la profonda
spiritualità che avvolge un testo, scritto con
il dolore dentro, quello profondo dell'anima, come dice lo stesso autore. Un’opera complessa, impegnativa, ricca
di molteplici significati e sfumature, di metafore, di sogno e di speranza.
“Io sono Matteo” indaga, tra i difficili
meandri della teologia, il delicato rapporto tra le cose divine e quelle umane.
Tra dogma, fede, ragione e bisogni naturali e universali.
Anche se composto con determinazione, con la
forza della volontà e dei sentimenti, si avvale di un linguaggio incisivo, poetico
e drammatico, ma nello stesso tempo chiaro, sciolto e immediato.
Attraverso l’amore, la gioia, il dolore, i
ricordi e le paure, Gian Piero Ferri narra il suo cammino spirituale che, tra
impervie vie, sale la cima più alta dove Dio e l’uomo condividono la stessa
meta, dove l’ombra di entrambi si unisce in un solo destino.
Un percorso della mente e del cuore che, nell’ultimo
tratto, però - il più arduo e più difficile - nulla può, se non lasciare il
posto alla fede e raccogliersi in preghiera su quella infinita cima.
Un viaggio nel fervore mistico, che si
realizza alla ricerca del bene e dell’amore: enfasi, verità e mistero, dove il
corpo riconosce l’anima; “tra le madri di
tutte le genti, nei cui manti è riposta ogni umana speranza”.
Apostolo tra gli apostoli, Matteo, con
Giovanni e Luca, si ritrova tra la gente a parlare con parole semplici della
dottrina del Verbo, della parola di Dio. Il
verbo di quel Dio incarnato, crocefisso, morto e risorto per la salvezza dell’umanità,
che è la rivelazione dell’amore generoso di un padre ricco di misericordia.
“Il mio
viaggio inizia in quella terra che non conosco. Vago in cerca di sguardi di
memoria, cerco tra la gente, rifletto la mia immagine in una fonte dove bevo a
piccoli sorsi per placare la mia sete antica”.
Il suo volto è barbuto, tremolante, dai lunghi
capelli: “Sono un profeta”, penso
sorpreso e incuriosito, nella toga che vesto, parlo alla gente come se la
conoscessi”.
Per l’autore, è la fede che rende potente la
preghiera, che l’avvicina agli uomini. Che li scioglie dalla schiavitù del
sentimento terreno.
Dalla follia della guerra, della
distruzione, della trincea, del filo spinato - che ha cinto il capo di Cristo
nei secoli - dei compagni di battaglia, nel reciproco sostegno e invocando
Dio perché parli all’anima e indichi il cammino. Anche attraverso i suoi segni
più semplici ma forti, come il pane, l’acqua, il sonno e il significato della
sofferenza, tra i colpi di cannone e la bandiera della pace.
Oltre l’orrore dei campi di concentramento
dove “il treno mette la parola fine alla
speranza.” Dove i bambini hanno il volto di Dio, segnati dalla guerra
infame, dalla prigionia dei campi di concentramento che segnano corpo e anima
in quel dolore senza senso. Dove Maddalena strappa le sue vesti lacere e piene
di lacrime per donarle alla vecchia che trascina le sue membra ferite, tra uomini dal volto trasparente, privi di
ossa e carne.
Stremati dalla battaglia, si compie nel credente
il miracolo della vita che, pur nella devastazione, innalza il vessillo del
Bene che vince sul Male: ama il prossimo
tuo come te stesso, ossia l’amore
di Dio trasferito all’uomo nell’uomo. Un simbolo dell’amore che incarna i
valori dell’amicizia, oltre i confini naturali della stessa esistenza.
E in quella pietà che Matteo coglie in Padre
Pio e Giovanni Paolo - un uomo venuto da
lontano - quella preghiera stessa, che lo travolge, mentre cinge e
capovolge il destino dell’umanità.
Solo questo
infinito amore può salvare l’uomo.
9 marzo 2016 (Alfredo Laurano)
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