Il
cammino delle donne verso il riconoscimento dei propri diritti è stato particolarmente
lungo e difficile perché, per secoli, sono state considerate diverse e
inferiori all’uomo.
Per
motivi diversi, ma soprattutto antropologici e religiosi, le donne di quasi
tutti i Paesi in via di sviluppo, di quelli dell’area islamica, di molte
culture orientali e di parte dell’America latina vivono, in realtà, una pesante
condizione di inferiorità.
Destinate
al ruolo di mogli e di madri, non hanno ancora accesso all’istruzione, sono
tenute al margine del mondo del lavoro e sono impiegate in mansioni umili e poco
pagate.
Soffrono
anche di gravi problemi sanitari, in caso di gravidanze e malattie, perché
quasi nulla conoscono di igiene e prevenzione.
Sono,
inoltre, escluse dalla vita politica ed esprimono un ruolo sociale molto marginale
e ridotto, strettamente legato al loro compito.
In
certi Paesi, il valore economico di una donna è di molto inferiore a quello
dell’uomo e, per le famiglie, avere una figlia è spesso una disgrazia, come
accadeva, una volta, anche in Occidente.
Nel Medioevo, le fanciulle erano
destinate al convento o andavano a servizio o maritate giovanissime per
risparmiare sulla dote.
Nella
Storia dell’umanità, le donne hanno comunque subito violenze di ogni tipo,
spesso istituzionalizzate da varie forme di potere e di organizzazioni sociali
e patriarcali: percosse, abusi, sfruttamento, emarginazione, proibizioni,
umiliazioni, sopraffazioni, oltre alla negazione dei diritti più elementari. Poco
più che animali da monta e da riproduzione.
Senza
dimenticare il "droit du seigneur" (diritto del
signore), o “ius primae noctis”, che, oltre al privilegio della prima notte nel
talamo della sposa del suddito, faceva in realtà riferimento a un'ampia serie
di diritti del signore feudatario, inerenti anche alla caccia, alle tasse, all'agricoltura.
Ma
la violenza più diffusa, al contrario di quanto si possa pensare, è quella che
avviene, ancor oggi, all’interno delle mura domestiche, ovvero in ambito
familiare, e consiste in una serie continua di azioni diverse ma caratterizzate
da uno scopo comune: il dominio e controllo attraverso il brutale condizionamento
psicologico, fisico, economico e sessuale. La cronaca di questi anni ci
racconta continui casi di femminicidi, di maltrattamenti, di sparizioni, di
riduzioni in schiavitù.
In
Italia, fino a non molti anni fa, l'uomo che uccideva la moglie o la fidanzata per
gelosia, poteva contare su una forte attenuante giuridica: il movente
"d'onore", grazie alla quale se la cavava con pochi anni di prigione
o con l’assoluzione.
Una
vergogna che affonda le sue radici in un’eredità culturale arcaica ancora attiva:
la femmina come proprietà del maschio.
Le stragi di donne, tuttavia, anche
nell’era contemporanea, vengono battezzate dalla cronaca come omicidi passionali,
vendette familiari, follie d’amore o raptus della gelosia, quasi a voler dare
una specie di giustificazione morale a qualcosa di mostruoso e primitivo.
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