Tra una strage e l’altra, anche quest’anno
arriva Pasqua. E porta il suo messaggio di amore e fratellanza.
Cristo risorge, ma non vede. Sangue e teste
continuano a scorrere nei fiumi immensi della follia umana, a dispetto delle feste
e delle tradizioni. E nemmeno i tanti Lazzaro del mondo risorgono, si alzano e
camminano.
Intanto, domenica scorsa, i cristiani si sono
scambiate le palme e i rami d’ulivo in segno di pace e domani celebrano la rinascita
del Cristo.
Soprattutto a tavola.
Oltre ad essere (o, forse, lo era) un momento
di riflessione spirituale, carico di simbologie, allegorie e di contenuti
storico-metaforici, questa festività vanta anche una lunga tradizione
gastronomica, costituita da ricette particolari, piatti caratteristici e
dolciumi tipici, i cui ingredienti vengono tramandati da secoli.
Colombe dolci (simbolo di pace), uova sode e
di cioccolato (simbolo di rinascita), torte pasqualine, pizze al formaggio,
coniglietti e pecorelle di zucchero.
Ma, soprattutto, l’agnello che rappresenta il
sacrificio di Gesù - buono e mansueto come l’animale stesso - che ha dato la vita per salvare l’umanità: “Ecco l’Agnello di Dio, colui che toglie il
peccato del mondo” e, nello stesso tempo, è anche il simbolo dell’innocenza
e del candore, offerto dall’uomo in sacrificio, durante la Pasqua ebraica.
L’episodio di Abramo che immola l’animale in
luogo del figlio Isacco, dalla cultura ebraica venne poi adottato dal
cristianesimo, che paragonò l’agnello a Cristo che, come l’animale, fu
sacrificato senza colpa.
Ancora oggi è il cibo della Pasqua
giudaico-cristiana: simbolo sacrificale per eccellenza, offerto a Dio, ma
consumato e divorato dall’uomo. Per devozione.
Privarsi e rinunciare è da pagani, perché
Pasqua è la festa della Resurrezione. Ma, anche strage di piccoli agnellini
che, dopo tre giorni, non risuscitano.
Una strage che si è consumata in queste ore.
Anche se in Occidente non ci sono più riti e
sacrifici dedicati a una qualche divinità, in nome di una qualche religione, resta
la tradizione della tavola imbandita, dell’abbuffarsi d’abbacchio e di
regalare, ipocritamente, ai bambini l’agnellino di zucchero, con fiocchetto
rosso e campanellino.
Gli agnellini ci ispirano tenerezza quando li
vediamo, eppure, a un mese di vita, vengono strappati alle madri e portati in un
lurido macello.
Ogni anno, a Pasqua, vengono uccisi 900 mila
tra agnelli, capre e pecore. Animali che arrivano quasi tutti dai paesi
dell'est, con lunghi ed estenuanti "viaggi della morte", stipati in
camion strapieni, in condizioni insostenibili - molti arrivano al macello più
morti che vivi - e mai sottoposti a controlli.
Vengono immobilizzati, issati a testa in giù, storditi con una scarica di corrente elettrica e sgozzati, mentre alcuni di loro ancora si agitano e sono coscienti. Appesi a un gancio, per una zampa, e lasciati dissanguare. Prima di essere appesi e uccisi, sentono l'odore del sangue e i guaiti di terrore dei loro compagni.
Non potrebbe esistere un motivo più futile
per sottoporre questi cuccioli a tanta sofferenza e alla morte precoce.
Salvarli
è facile: basta non mangiare agnello a Pasqua, né in nessun'altra occasione.
Pasqua 27 marzo 2016 (Alfredo Laurano)
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