Il morto di Terni non è figlio di Mare
Nostrum, come dice Salvini, ma è l’innocente vittima di un folle criminale, che
non ha colore, né nazionalità.
Mentre il leghista annuncia che raccoglierà
le firme dei cittadini per una class action contro Renzi e Alfano - che intende
denunciare per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina - e centinaia di
siti, giornali e razzisti comuni sciolti del Web speculano e strumentalizzano
ogni dramma umano e fatto di cronaca, a fini politici e propagandistici, una
grande lezione di civiltà e di compostezza, pur nel dolore, ci viene dalla
famiglia del giovane Davide, assassinato senza un perché a Terni da un
marocchino rientrato in Italia, clandestinamente, già noto, già espulso, già
violento e in attesa dell’ esito di un ricorso.
Se c’è qualcosa da denunciare è l’incapacità
di gestire l’intero e complesso fenomeno della migrazione, delle espulsioni,
dei controlli e di impedire le fughe dai Centri di accoglienza (CDA) e di
identificazione (CIE).
Padre e
fratello dell’ucciso pronunciano sensate parole d’amore, di lungimiranza e di
generosità, condannando la violenza, l’intolleranza e il razzismo. “Non dobbiamo chiuderci nell’odio, ma
piuttosto tornare fuori e imparare a stare bene insieme agli altri. Noi non
vogliamo vendetta, ma giustizia”
Parla con il suo primogenito Diego, l’unico
figlio che gli è rimasto, il signor Raggi, ex operaio delle acciaierie, e
mostra preoccupazione per l’amico Mohamed, l’ambulante all’angolo, e per tutti
gli altri marocchini di Terni - dispiaciuti, spaventati e temono vendette - che
sono andati da lui per abbracciarlo, quasi vergognandosi, e per fargli le
condoglianze.
Proprio lui che ha appena perso un figlio,
trafitto dal dispiacere, trova il modo di rassicurarli e confortarli. “Aggiungere violenza ad altra violenza ora
sarebbe completamente inutile e sbagliato. Mio figlio stesso, David, non lo
vorrebbe mai.”
Anche gli amici più cari e più intimi di
David, pedinati e braccati da microfoni e TV, hanno espresso con commozione e
grande sensibilità, le stesse posizioni, la stessa civiltà, lanciando appelli
alla ragione.
Da
questa tragedia e da questi gesti, da queste nobili parole, c’è molto da
imparare.
18
marzo 2015 (Alfredo Laurano)
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