E’ doveroso ricordare il
sacrificio di Aldo Moro.
Quarantuno anni fa, il 9
maggio 1978, veniva ritrovato il suo corpo nel bagagliaio di una Renault 4,
rossa, abbandonata in via Caetani, a Roma, ucciso dalle Brigate rosse dopo 55
giorni di prigionia.
Il suo assassinio sconvolse
non solo l’Italia e il suo intero popolo.
Ma quel 9 maggio fu anche il
giorno della morte di Peppino Impastato, il trentenne giornalista e attivista
siciliano, fatto saltare col tritolo sui binari della ferrovia Palermo-Trapani per far credere che si trattasse di un attentato terroristico suicida. In realtà, fu ucciso dalla mafia, a Cinisi, per ordine del boss Gaetano Badalamenti.
Peppino, però, ebbe il torto
di farsi ammazzare proprio il giorno del ritrovamento del corpo di Moro e,
quindi, fu quasi ignorato dalla grande macchina mediatica, che oscurò
completamente la notizia di quell’omicidio di provincia.
Ricordare quel giorno, quel 9
maggio di tanto tempo fa, e queste due figure epiche e leggendarie, nei rispettivi ruoli e nella opportuna dimensione etica e valoriale,
genera una certa emozione, soprattutto a chi ha vissuto gli eventi di quel
tempo.
Le nuove generazioni hanno
bisogno di conoscere queste storie che, al di là dell’omaggio alla memoria,
dell’emotività narrativa, del possibile rischio didascalico o retorico,
trasmettono messaggi educativi, rilanciano ideali popolari e sensibilità
sociali, spesso dimenticati.
Il futuro si può costruire
anche in questo modo, perché la mafia e il terrorismo uccidono e il silenzio e
l’oblio pure. (Alfredo
Laurano)
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