Erano le 17.02 di mercoledì 4 maggio 1949 e da allora, sono
trascorsi settant’anni esatti. Don Tancredi sentì solo il rombo dell’aereo che
s’avvicinava: non ci fece quasi caso, ne passavano tanti su quella rotta. Anche
Amilcare Rocco, muratore che abitava a pochi passi dalla Basilica, sentì quel
rumore: il solito, pensò. Ma si fece sempre più assordante. E finì con un tonfo
e un boato. Amilcare uscì di casa, si mise a correre insieme con qualche
contadino che era già per strada, diretto verso il fuoco che veniva da dietro
la Basilica.
Quando arrivarono al bastione, videro la carlinga di un
aereo infilzata nel muro.
Don Tancredi era già lì che s’aggirava fra i resti. «Le
maglie del Torino, le maglie del Torino» urlò uno, tirando su gli indumenti granata
con cucito lo scudetto.
Perché su quell’aereo che la mattina era decollato da
Lisbona, dopo un’amichevole contro il Benfica per l’addio del capitano
Francisco Ferreira, viaggiava il Grande Torino, la squadra dei record, degli
invincibili.
E’ morto il Toro, disse qualcuno.
Bacigalupo, Ballarin, Maroso, Grezar, Rigamonti, Castigliano,
Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola: era la formazione. Allora non c’era la
“rosa” e gli undici erano undici e s’imparavano a memoria, come le poesie a
scuola. Dal ’43 al ’49 vinsero sempre lo scudetto.
Storie di altri tempi, di un calcio pulito fatto di passione,
entusiasmo e sentimento che non c’è più. Di calciatori eroici che facevano
sognare tifosi e comuni cittadini, senza guardare al business, al facile guadagno.
In tutto, morirono 31 uomini, calciatori, dirigenti,
giornalisti ed equipaggio, che volavano sul Fiat G-212 della Avio Linee
Italiane. Il giorno dei funerali, quasi un milione di persone scese
in piazza a Torino per dare l'ultimo saluto ai giocatori.
Così scrisse Indro Montanelli, sul Corriere della Sera:
"Gli eroi sono sempre immortali agli occhi di chi in essi crede. E così i
ragazzi crederanno che il Torino non è morto: è soltanto in trasferta".
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