Ancora una pagina di forti, intense emozioni che solo lo sport e, in questo caso il calcio - quando dimentica di essere diventato solo business - sa esprimere con tanta partecipazione, devozione e sentimento. Come è stato due anni fa con Totti e, ancora prima, con Del Piero, con Buffon, con Bruno Conti e tanti altri.
L’addio di Daniele De Rossi, ieri sera, è stato l’epilogo triste di una lunga carriera fatta di gioco, talento, amore e fedeltà, ma anche il momento più bello di una stagione deludente e fallimentare di una squadra inconcludente come la Roma. Un saluto bagnato dalle lacrime del cielo e dal pianto dei settantamila che affollavano gli spalti, che ha riscattato un campionato da dimenticare, come certe discutibili scelte societarie di mercato, che avviliscono i tifosi e umiliano la squadra.
Magliette, bandiere, striscioni, sciarpe e cappelli hanno colorato l’intero Olimpico di giallorosso. Molti li hanno regalato a Daniele - il cui acronimo DDR, per tanti, significa “dono di Roma” - che li conserverà, come simboli preziosi, nella sua bacheca personale.
Moglie, figli, amici, compagni di squadra e della sua grande famiglia allargata, lo hanno festeggiato, abbracciato e accompagnato nel suo lungo giro di campo, segnato da baci, saluti e fotografie.
Anche i sensibile Mr. Ranieri, di fronte a uno striscione di stima e di saluto, si è inchinato e ha pianto. Anche lui lascerà la “Magica”, da sempre nel suo cuore.
L’addio di De Rossi alla sua Roma è stato forse il secondo tempo di una stessa esaltante partita, cominciata dal suo amico e maestro Francesco, appunto due anni fa.
Quanto amore anche ieri in quello stadio. Quanti diversi e contrastanti sentimenti hanno affollato e toccato anche ieri quelle curve, quelle tribune e quella gente assai provata.
Quanta commozione, quanta passione, quanta sofferenza hanno segnato quei volti senza età, sopraffatti dal pianto e dal dolore.
In quella cornice di dimenticato romanticismo e di valori sani, si è scritta un’altra straordinaria pagina di partecipazione popolare, di orgoglio sportivo, di passione collettiva, di affetti liberati e veri che hanno la forza di tramandare i miti e raccontare la leggenda.
Si è scritta un’altra pagina dell'amore e della grande bellezza dello sport.
Come la stessa toccante lettera di addio di Capitan Futuro”, che ha indossato ieri, per l’ultima volta, la sua maglia romanista.
Comincia con la foto di un De Rossi, piccolo e sorridente, con indosso già la maglia giallorossa:
“Che te ridi regazzi’?
So’ felice!
Perché sei felice?
C’ho la maglietta della Roma
Ma non è che è falsa?
Ma no, il numero l’ha cucito mia zia…
E se te dico che la indosserai più di seicento volte?
A me ne basterebbe una di partita.”
“Riguardando questa foto, che ormai conoscete tutti, mi rendo conto di quanto io sia stato fortunato, una fortuna mai data per scontata e per la quale non sarò mai abbastanza grato.
È stato un viaggio lungo, intenso, sempre accompagnato dall’amore per questa squadra.
Questa gratitudine non voglio lasciarla sospesa per aria, perché, mentre scrivo la parola grazie, non mi passano per la testa dei concetti astratti, ma dei ricordi e delle sensazioni, delle facce e delle voci.
Permettetemi di ringraziare tutta la Roma che ho conosciuto:
la famiglia Sensi, il presidente Pallotta.
Tutte le donne e gli uomini che hanno lavorato e lavorano a Trigoria.
Gli allenatori che mi hanno guidato, ognuno mi ha insegnato qualcosa di importante, nessuno escluso.
Gli staff medici che si sono presi cura di me; Damiano, senza il quale le mie presenze con questa maglia sarebbero state sicuramente meno.
I miei compagni, la parte più intima del mio lavoro: sono la mia famiglia. La quotidianità dello spogliatoio di Trigoria sarà quella che mi mancherà di più.
Bruno, che ha visto in me qualcosa di speciale e mi ha portato in questo fantastico settore giovanile. È lì che, una mattina di agosto, ho incontrato Simone e Mancio, che mi sono rimasti accanto finora e resteranno per tutta la vita.
Grazie a Davide, anche lui accanto a me per tutta la vita.
Grazie a Francesco. La fascia che ho indossato l’ho ricevuta dalle mani di un fratello, di un grande capitano e del calciatore più straordinario al quale io abbia mai visto indossare questa maglia. Non capita a tutti di giocare 16 anni accanto al proprio idolo. Riconsegno questa fascia, con rispetto, ad Alessandro. Un altro fratello che sono sicuro ne sia altrettanto degno.
Grazie a papà e mamma per avermi cresciuto trasmettendomi due valori che sono ogni giorno con me: non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te stesso e dai una mano a chi è in difficoltà.
Grazie a Ostia, alla sua gente e al suo mare, che mi hanno svezzato da bambino, accompagnato da adolescente e riaccolto da adulto.
Grazie anche a chi mi ha sopportato e supportato tra le mura di casa: senza Gaia, Olivia e Noah e, soprattutto, Sarah, sarei la metà dell’uomo che sono oggi.
Grazie ai tifosi della Roma, i miei tifosi. Mi permetto oggi di dire miei, perché l’amore che mi avete dato mi ha permesso di continuare ad essere in campo parte di voi. Siete stati la ragione per cui tante volte ho scelto di nuovo questa città. Domani sarà la seicentosedicesima volta in cui io considererò questa scelta, la scelta giusta.
Mai come in questi giorni ho sentito il vostro affetto: mi ha travolto e mi ha riempito il cuore.
Mai come in questi giorni vi ho visto così uniti per qualcosa.
Ora, il regalo più grande che mi potete fare è mettere da parte la rabbia e tutti uniti ricominciare a soffiare per spingere l’unica cosa che ci sta a cuore, la cosa che viene prima di tutto e tutti, la Roma.
Nessun mai vi amerà più di me. DDR”
E ora, amici, sportivi, tifosi e appassionati, dopo aver visto e letto tanto, provate a non piangere un’altra volta.
27 maggio 2019
(Alfredo Laurano)
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