Dopo lo stupro di Rimini, dopo quello dei
carabinieri di Firenze, quello della medica violentata in un ambulatorio
siciliano da un paziente, dopo la bambina di undici anni, abusata ripetutamente
e messa incinta dall’amico di famiglia, dopo la donna sgozzata al parco di
Milano alle sette di mattina, mentre conduceva il cane, dopo le troppe donne
sfregiate dall’acido o pugnalate o arse vive o violentate in un cortile romano,
dopo la tedesca di 57 anni, trovata nuda e legata ad un palo a Villa Borghese o
la turista belga ventenne che ha denunciato un tentativo di stupro, perfino
sulla scalinata della Basilica di Santa Maria in Aracoeli, stiamo ancora a chiederci
che razza di Paese siamo, che specie di società malata è questa, in che mondo
assurdo viviamo, come già dicevano, incredibilmente, i nostri genitori e i
nostri avi.
Secondo
l’Istat, ogni due, tre giorni, in Italia, si uccide una donna, viene commesso
un femminicidio. Abusi e violenze sono ormai fuori concorso.
Stupratori, stalker, maschi deviati,
sfruttatori brutali e prepotenti, assassini - quasi sempre ex mariti, ex
fidanzati, parenti, amici o conoscenti - continuano ad esercitare la propria
volontà bestiale sulle donne, a dispetto di celebrazioni di giornate
internazionali contro la violenza, come quella di ieri.
Riti consueti e obbligatori per
ricordare o sottolineare, qualora ce ne fosse ancora bisogno, l’oppressione
costante e insopprimibile su giovani, mature, anziane, bambine o madri di
famiglia.
Per
la prima volta, la Camera è stata aperta alle sole donne. Sugli scranni e nelle
sale del palazzo ce ne sono 1.300: vittime di stupro, violenza domestica e
stalking. Ma anche madri di ragazze che non ci sono più. Tante storie e
testimonianze di botte e umiliazioni, risuonano dell’aula, per dire no e
denunciare, perché il silenzio divide, isola, uccide.
Ma tutto questo inverso caleidoscopio
che riflette il mondo femminile in immagini oscure e lugubri, ormai scontate e
ricorrenti, mutevoli, confusamente asimmetriche e variabili nella forma, ma non
nella sostanza, è prima di tutto un problema di uomini, di maschi repressi, di
femmine concepite come prede. Ma, soprattutto, di ignoranza, di possesso, di
potere, di dominio e di controllo. Un problema di inciviltà, di ineducazione,
di malsano senso del confronto e del rispetto, di ginofobia latente e
conflittuale.
Oltre
la retorica, occorre superare gli stereotipi di genere che ancora abbondano
nella nostra società e nei media, fare un salto in avanti, uscire da una
cultura che ha ridotto per millenni una donna a una proprietà, a un oggetto di
piacere e di trastullo, per bestie proclamatesi padroni.
26
novembre 2017 (Alfredo Laurano)
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