Da quella che tentò Eva a quella che
cadde sulla testa di Newton; da quella che avvelenò Biancaneve a quella sulla
testa del figlio di Guglielmo Tell; da quella “grande” di New York a quella
dell’etichetta musicale dei Beatles e dei computer della Macintosh.
C’era una volta una mela.
Una mela come frutto, anzi, come regina
della frutta e come simbolo multiculturale e controverso di fertilità, sapienza,
ma anche del peccato originale, nonché del Paradiso, attraverso l’albero della
conoscenza.
O come quotidiano nutrimento, come
ingrediente di migliaia di preparazioni alimentari, a cominciare da quella
grattugiata, di una volta, per neonati, alle infinite frittelle e torte di
mele, fino allo straordinario strudel di mia madre.
Mela, narrata e tramandata, come
metafora dai significati più profondi, fra mito e religione, fra cibo e
letteratura. Espressione di antica saggezza clinica popolare, perché, come tutti
sanno, una mela al giorno toglie il
medico di torno.
Perché lo toglie? Perché - spiega la
medicina ufficiale - contiene una serie di sostanze utili all’organismo:
vitamine A, B e C, sali minerali come il potassio, pectina che aiuta a bruciare
il colesterolo, flavonoidi che contrastano i soliti e fastidiosi radicali
liberi che si aggirano nel nostro corpo, fibre complesse che aumentano il senso
di sazietà, senza l’assunzione di molte calorie.
Tutta questa ricchezza di sostanze in
una sola affascinante, colorata, profumata, succosa e croccante mela, che costa
pochi soldi. Può bastare?
Oggi, nel mondo, si stima che esistano
almeno settemila varietà di mele consumate dall’uomo, a fronte di continui
incroci creati per esaltarne le caratteristiche: dalle Fuji alle Delicius,
dalle verdi Granny Smith alle Stark (la mela rossa delle favole), dalle Royal
Gala alle Pink Lady, senza dimenticare la mitica Renetta e l’antica, piccola e
aromatica Annurca, che vive in Campania da almeno duemila anni.
Questo prezioso dono della Natura,
nasce nell’Asia Centrale.
Lo conferma il fatto che una delle
principali città del Kazakistan si chiami, appunto, Almaty, ovvero, “il posto
delle mele”, per la grandissima quantità e diversità
genetica di mele selvatiche che storicamente crescono in quella regione.
Da lì, grazie alle migrazioni
indoeuropee, ai Romani e ai viaggi commerciali, si diffusero in Italia e in
Europa, tanto da diventare nell’immaginario popolare simbolo di bontà e
d’armonia, collegato al divino.
Non più pomo della discordia, causa scatenante
della Guerra di Troia, ma rappresentazione ricorrente nell’arte figurativa e
di passioni e sentimenti in ogni tempo delle mele.
Nel bene e nel male, resta il cibo
degli dei e degli umani, dolce quanto basta, invitante e seducente come il
fascino del peccato.
12 novembre (Alfredo Laurano)
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