Qualcosa che ha fatto
infuriare e inorridire tutti quelli che hanno visto quelle immagini, che hanno
percepito e non condiviso quel clima festoso, quegli abbracci, quei momenti di
gioia mostrati dal video di Quarto Grado.
Qualcosa di finto, di forzato
e di appagante nello stesso tempo, sullo sfondo incancellabile di una colpa
grave - quasi dimenticata, o quanto meno rimossa dagli eventi - che ha
scatenato le reazioni più decise e più indignate, le critiche più aspre, il
fastidio a pelle e gli anatemi di chi, istintivamente, non può prescindere, non
può dimenticare l’altro lato e l’altra brutta faccia della storia di quella
ambigua famiglia.
Una vera miccia, quel video,
che non poteva non far esplodere ancora la rabbia e il risentimento contro i
responsabili della morte di Marco.
Che non poteva non provocare
un’altra ondata di sdegno e di disgusto in tutti quelli che da sempre seguono,
con trepidazione, questa allucinante vicenda e sostengono, come possono, la
famiglia della giovane vittima, uccisa, quanto meno, dalla superficialità e
dalla inettitudine.
Ma, pur comprendendo lo
stupore, la sorpresa, la giusta indignazione, la reazione profondamente umana
di ciascuno - c’è chi propone che la laurea le venga annullata, che sia radiata
prima di cominciare a lavorare, che sia emarginata dalla società e amenità di
questo genere - dobbiamo prendere atto con lucida consapevolezza che la
laureanda Ciontoli non è stata ancora condannata e che tutto quello che il video
ha mostrato è perfettamente legittimo e normale, anche se ne percepiamo la
distonia e l’inadeguatezza.
Anche se a tutti noi appare
assurdo e paradossale, Martina, al momento, è ancora una libera cittadina,
libera di studiare, di lavorare, di laurearsi e anche di festeggiare, dopo
essere stata già libera, purtroppo, di lasciar morire Marco, insieme alla sua
sciagurata famiglia.
Dobbiamo accettare le garanzie
di un sistema giudiziario che deve appunto applicare le leggi e fare giustizia
e non vendette personali o di gruppo. Dobbiamo prendere atto che le nostre
umanissime reazioni, le nostre naturali sensazioni e i nostri sentimenti non
hanno la facoltà di emettere sentenze, se non quelle dell’istinto o del buon
senso che, tuttavia, non fanno giurisprudenza.
6 Novembre 2017 (Alfredo
Laurano)
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