Black
Friday per clienti e grandi consumatori ma, stavolta, non nello stesso senso e
significato, anche per il colosso americano Amazon: da ieri mattina i
lavoratori di Amazon Italia, e di altre sei città tedesche, sono entrati in
sciopero per chiedere aumenti di stipendio e migliori condizioni di lavoro.
Amazon è la più grande Internet company al
mondo, un'azienda di commercio elettronico statunitense, con sede a Seattle,
tra le prime a vendere merci su Internet. Fattura oltre 136 miliardi $ (2016),
con utile netto di 2,4 miliardi, conta 341.400 dipendenti.
Il
suo stile prettamente yankee, fatto di sorrisi, applausi e pacche sulle spalle,
di porte aperte al piano superiore, per chi chiede di parlare con un
responsabile, è la costante nel rapporto di lavoro, anche nello sterminato
magazzino italiano di Castel San Giovanni, nel piacentino, equivalente a 10
campi da calcio, più di 70mila metri quadri, per 2.200 assunti e 2.000 interinali
per i periodi di picco. Si lavora su tre turni da otto ore, l’ultimo comincia
alle 22.30 e termina alle 6. Si prendono circa 1.100 euro al mese.
C’è,
insomma, un’atmosfera di cordialità esibita o ostentata, come se si fosse tutti
amici, a consolidare, con una certa dose di paternalismo, lo slogan dipinto
dalla scritta Work hard Have Fun Make history (Lavora duro, divertiti e fa la
storia) che sovrasta l’enorme edificio, dove per la prima volta ieri, 24
novembre, i lavoratori hanno incrociato le braccia.
Le
contestazioni riguardano in particolare l’intensità dei ritmi di lavoro, con i
dipendenti costretti a fare fino a 20 chilometri ogni giorno per prendere o spostare
i vari pacchi da un punto all’altro del grande stabilimento, inserirli negli
scaffali o consegnarli per la confezione e la spedizione. Ritmi e ripetitività
dei movimenti che procurerebbero infortuni e patologie varie (problemi alla
schiena, alle articolazioni, stress e attacchi di panico).
Secondo
dipendenti e sindacati, i manager e i capi reparto esercitano un controllo
molto rigido sui tempi impiegati per svolgere le varie mansioni e sulle pause,
comprese quelle per andare al bagno. Chi perde tempo o è lento rischia richiami
disciplinari e altre sanzioni, come il trasferimento in reparti dove il lavoro
è più disagevole.
Nello
stabilimento, vengono macinati 447 milioni di ordini al giorno e, ad ogni nuovo
traguardo, i manager entusiasti gridano: “Abbiamo
battuto un altro record, ora facciamoci un applauso”, ovviamente, tutti,
meno quelli che hanno contratto il tunnel carpale che non riescano ad
applaudire. Un entusiasmo un po’ guidato, un po’ studiato, un po’ forzato.
Solo
l’anno scorso, nel Black Friday, Amazon Italia ha dovuto smaltire 1 milione e
100 mila ordini, uno ogni 12 secondi.
Difficilmente – secondo i
numeri del sindacato – molti lavoratori resistono in azienda per più di tre
anni, nonostante la paga buona.
Ma
noi consumatori tutto questo non lo sappiamo: in pochi clic, e a prezzi
imbattibili e scontati, facciamo shopping senza pensare che tanta efficienza ha
un costo umano.
Anzi,
molti clienti vanno in visita all’enorme padiglione (tour previsti su
appuntamento, una volta al mese), per vedere da vicino come funziona questa gigantesca
macchina che macina miliardi di dollari e si fanno i selfie all’esterno,
inviando in tempo reale un ordine.
Vittime dell’eccitazione
scomposta del Black Friday di tutti giorni, siamo
all’apoteosi del consumismo, al superamento dei bisogni voluttuari, alla
consacrazione del superfluo, al trionfo dell’edonismo non solo reaganiano.
25
novembre 2017 (Alfredo Laurano)
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