SOTTO ER CIELO DE ROMA è una commedia leggera,
brillante e divertente, come quelle di una volta. Come quelle che, a ragione e
a pieno titolo, si inseriscono nella felice tradizione del teatro in romanesco
che va da Ettore Petrolini a Fiorenzo Fiorentini, da Aldo Fabrizi a Checco
Durante e Alfiero Alfieri.
La
messa in scena - luci, arredi, ambiente, oggettistica e costumi - è
particolarmente gradevole nella sua essenzialità e tutti gli attori, ancorché
amatoriali - e su questo ci sarebbe da discutere - esprimono talento e professionalità,
senza tradire l’emozione, pur forte e presente, della prima (ieri, 23 novembre 2017). Tutti, al massimo
delle loro possibilità, assecondano una regia misurata ed efficace.
A
Roma, nel 1927, Cecco e Nannì Vencioni, una coppia di “borgatari” che si
arrangia per sopravvivere, abita una modesta casa di periferia, tra mille
difficoltà economiche.
La
casalinga Nannì (Lucilla Muciaccia,
vivace, disinvolta, brillante e assai spontanea), riceve la visita di sora
Ghituccia (Serena Zamboni, perfetta
ed espressiva nella parte e nelle movenze), la pettegola di quartiere, che le
riferisce di “aver sentito dire” di
alcune avventure amorose di “uno che se
la farebbe con una bella signora ricca”
L’arrivo
improvviso dell’emancipato ufficiale giudiziario Gustavo Pecoretti (uno
straordinario, disinibito e adeguatamente ambiguo Andrea Scaramuzza), incaricato di riscuotere i debiti che la coppia
Vencioni ha maturato nei confronti dello Stato, complica le chiacchiere e le cose,
ingarbuglia la vicenda e dà luogo a una serie di momenti paradossali ed
esilaranti.
L’ingresso
del pigro Cecco, un fannullone che pensa solo a giocare a carte e a bere in osteria
con gli amici, (Mauro Mammarella, sfacciatamente
bravo, sciolto, sfrontato e scanzonato, che, più che recitare una parte, sembra
vivere se stesso), salva o rimanda, almeno al momento, l’incresciosa situazione.
In
realtà, nessuno sospetta che le accuse di Ghituccia sono vere e che la povera
Nannì, per pagare l’affitto, è costretta a concedersi all’allupatissimo padrone
di casa, il commendatore (Vito Garofalo,
l’elegante beautiful de Noantri), che non perde occasione per approfittarsi di
lei e per venerare il suo lato B.
Siamo
nella piena attualità, del tutto in linea con la cronaca che dibatte di
molestie e ricatti sessuali, con mediatico fervore.
Come
nessuno sospetta che l’integerrimo Pecoretti…Pecorini...Pecorecci, ma anche generale,
colonnello, ufficiale e gentiluomo… (storpiature esilaranti alla maniera di Totò)
aneli ad “altre grazie” e “accomodamenti” da parte del debosciato
Cecco che, nel frattempo - si scopre, con sorpresa - gratifica e apprezza le
grazie della bella moglie del commenda, una sorprendente Ornella Petrucci, negli inconsueti panni di una ricca maliarda,
spregiudicata ammaliatrice quanto basta.
Un
sobrio Guido Padrono, nei panni di
un moderno Sor Capanna, cantastorie e stornellatore popolare della Roma
umbertina, introduce e chiude questo brioso romanzo popolare, senza tempo,
improvvisando strofe e melodia di “Chi ce
l’ha fatto fa”.
Con
molto equilibrio, calibrata comicità e misurata enfasi, gli attori interpretano
alla grande i propri ruoli, confezionati su misura e calati sulla pelle da un
abilissimo stilista (Gianni Quinto)
e, attraverso un incalzante susseguirsi di gag, battute, tormentoni reiterati e
siparietti, danno vita a personaggi ben delineati, capaci di rappresentare
icasticamente il quotidiano vivere, fatto di intrighi, sogni, debolezze e necessità
di gente qualunque, che vive alla giornata. Anche il linguaggio è aderente, semplice,
musicale e mai volgare, anche quando si fa complice e allusivo.
Ognuno
indossa, con estrema disinvoltura, una specie di maschera pirandelliana, colorata
però di pungente e irriverente ironia, come quella che molti sono costretti a
usare per sopravvivere alla disperazione o per difesa esistenziale dalle forme di
discriminazione e indifferenza, che spesso la società impone.
Tra
pettegolezzi di comari e confusi intrecci d’amore e pane quotidiano, emergono
prepotentemente tante sfumature dell’animo umano, che, grazie all’ energia
espressiva di tutti i protagonisti, catturano l’attenzione del pubblico che
esplode in applausi e sonore, spontanee risate.
Perché
l'umorismo è la capacità intelligente e sottile di saper cogliere e
rappresentare l'aspetto comico della realtà.
Perché
far ridere è una cosa estremamente seria.
24
novembre 2017 (Alfredo Laurano)
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