In
breve tempo, ha sgomitato e scalciato nel PD per prendersi il partito ed il
Paese, attraverso la farsa delle primarie. Ora, il vanesio, insolente e
presuntuoso puffo fiorentino, da oltre due anni, governa il Paese con un
comitato d'affari che favorisce banche, lobby, affaristi, faccendieri e amici
degli amici.
Come
nella migliore tradizione democristiana.
Come
e anche peggio di Berlusconi e dei suoi sfacciati conflitti di ruolo, di
premier e super imprenditore.
Con l’aggravante della strafottenza da “bullo di
Rignano” e della più stupida arroganza di chi si atteggia a novello statista
illuminato, che scherza e fischietta, mani in tasca, con la Merkel e con Obama.
La
nuvola del conflitto di interessi grava continuamente sul cielo grigio della
politica renziana e non si scioglie mai. Anche quando acuisce la polemica
sprezzante nei confronti di tutto quello che c'era prima o quando accusa di
incapacità i vecchi dirigenti del “suo” partito - o, meglio del partito di cui
si è impadronito - che ha relegato nella soffitta delle cose inutili e
rottamato, con sprezzante cinismo, secondo l'impalpabile criterio della sola
giovinezza e non del merito o della competenza.
Padri
o fidanzati, con le banche o col petrolio poco importa, indagati a margine o
nel vivo dell’ennesimo conflitto d’interessi.
Agevolazioni, cortesie e
privilegi di famiglia.
Dopo
Lupi, che un anno fa si era dimesso per uno scambio di favori a vantaggio di
suo figlio, ora tocca a Federica Guidi, intercettata, per aver speso la sua
influenza per gli affari del suo compagno.
Figlia
di Guidalberto Guidi, imprenditrice quarantenne di successo, ministro per le Attività
produttive, nonché esponente della Confindustria, ha sempre espresso posizioni
vicino alla destra berlusconiana: euroscettica, iperliberista, fino al punto di
proporre l'abolizione e la sostituzione del contratto nazionale di lavoro con i
contratti individuali.
Più
volte blandita e cercata come candidata nelle liste del Cavaliere d’Arcore, si
è prodigata per far inserire nella legge di Stabilità, con l'aiuto dell’altra
ministra “capa”, non ancora dimessa, Maria Elena Boschi - figlia del ex vice
presidente, inquisito, di Banca Etruria - un emendamento a favore degli
impianti “Tempa Rossa” della compagnia petrolifera Total, per favorire il suo
fidanzato, indagato nell'inchiesta della procura di Potenza (gestione della risorsa petrolio, traffico
dei rifiuti e operato di Eni).
Ora,
tra un conflitto e l’altro, si capisce forse meglio perché buona parte del Pd e
il comitato d’affari del governo tifano per l'astensione sul referendum delle
trivelle, che intacca e compromette gli interessi delle compagnie petrolifere.
Ci
consigliano, anche se siamo in aprile, di “andare al mare”, proprio come disse
Craxi, nel referendum del giugno del 1991.
Ma
quel celebre invito si rivelò il più fragoroso boomerang della storia
elettorale italiana: 27 milioni di italiani, il 62,6 per cento, respinsero la campagna
astensionista. Per il leader del garofano fu l’inizio della fine e determinò il
crollo del suo ciclo di potere.
Esistono
ancora i corsi e i ricorsi storici vichiani?
1
aprile 2016 (Alfredo Laurano)
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