venerdì 1 aprile 2016

PAPÀ BANCHIERI E FIDANZATI PETROLIERI

In breve tempo, ha sgomitato e scalciato nel PD per prendersi il partito ed il Paese, attraverso la farsa delle primarie. Ora, il vanesio, insolente e presuntuoso puffo fiorentino, da oltre due anni, governa il Paese con un comitato d'affari che favorisce banche, lobby, affaristi, faccendieri e amici degli amici.
Come nella migliore tradizione democristiana.
Come e anche peggio di Berlusconi e dei suoi sfacciati conflitti di ruolo, di premier e super imprenditore. 
Con l’aggravante della strafottenza da “bullo di Rignano” e della più stupida arroganza di chi si atteggia a novello statista illuminato, che scherza e fischietta, mani in tasca, con la Merkel e con Obama.
La nuvola del conflitto di interessi grava continuamente sul cielo grigio della politica renziana e non si scioglie mai. Anche quando acuisce la polemica sprezzante nei confronti di tutto quello che c'era prima o quando accusa di incapacità i vecchi dirigenti del “suo” partito - o, meglio del partito di cui si è impadronito - che ha relegato nella soffitta delle cose inutili e rottamato, con sprezzante cinismo, secondo l'impalpabile criterio della sola giovinezza e non del merito o della competenza.

Padri o fidanzati, con le banche o col petrolio poco importa, indagati a margine o nel vivo dell’ennesimo conflitto d’interessi. 
Agevolazioni, cortesie e privilegi di famiglia.
Dopo Lupi, che un anno fa si era dimesso per uno scambio di favori a vantaggio di suo figlio, ora tocca a Federica Guidi, intercettata, per aver speso la sua influenza per gli affari del suo compagno.

Figlia di Guidalberto Guidi, imprenditrice quarantenne di successo, ministro per le Attività produttive, nonché esponente della Confindustria, ha sempre espresso posizioni vicino alla destra berlusconiana: euroscettica, iperliberista, fino al punto di proporre l'abolizione e la sostituzione del contratto nazionale di lavoro con i contratti individuali.
Più volte blandita e cercata come candidata nelle liste del Cavaliere d’Arcore, si è prodigata per far inserire nella legge di Stabilità, con l'aiuto dell’altra ministra “capa”, non ancora dimessa, Maria Elena Boschi - figlia del ex vice presidente, inquisito, di Banca Etruria - un emendamento a favore degli impianti “Tempa Rossa” della compagnia petrolifera Total, per favorire il suo fidanzato, indagato nell'inchiesta della procura di Potenza  (gestione della risorsa petrolio, traffico dei rifiuti e operato di Eni).

Ora, tra un conflitto e l’altro, si capisce forse meglio perché buona parte del Pd e il comitato d’affari del governo tifano per l'astensione sul referendum delle trivelle, che intacca e compromette gli interessi delle compagnie petrolifere.
Ci consigliano, anche se siamo in aprile, di “andare al mare”, proprio come disse Craxi, nel referendum del giugno del 1991.
Ma quel celebre invito si rivelò il più fragoroso boomerang della storia elettorale italiana: 27 milioni di italiani, il 62,6 per cento, respinsero la campagna astensionista. Per il leader del garofano fu l’inizio della fine e determinò il crollo del suo ciclo di potere.
Esistono ancora i corsi e i ricorsi storici vichiani?

1 aprile 2016 (Alfredo Laurano)

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