Fratello del noto showman Rosario Fiorello
e della scrittrice Catena Fiorello, Beppe, già detto Fiorellino, ancora una
volta ha fatto centro.
Nonostante una certa timidezza e il
carattere un po’ introverso, sembra nato per interpretare certi ruoli, assai
diversi per storia, per cultura e per temperamento, ma tutti esemplar e di
grande spessore umano.
Uomini straordinari, personaggi dal forte
impegno civile, le cui vicende sono legate alla storia del nostro Paese. Come
in Ultimo, in Salvo D’Acquisto, Joe Petrosino, Domenico Modugno, Giuseppe
Moscati, nella Banca Romana, Il grande Torino, L’oro di Scampia, L’angelo di
Sarajevo.
Attore di razza, come pochi, è ormai
giustamente considerato e apprezzato come l’uomo delle fiction più
appassionate, forse anche per il suo fisico “normale”, per il suo sguardo
pulito e sereno, il suo volto espressivo, il suo porsi con garbo e
determinazione.
Anche in “Io non mi arrendo”, appena andato
in onda su RaiUno, ha raccontato la reale storia di Roberto Mancini, l’eroico
poliziotto che, negli anni ’90, scoprì per primo il business dei rifiuti
tossici e radioattivi, portati, smaltiti e sversati dalla criminalità in Campania,
nei siti di stoccaggio e in discariche illegali, sparse dappertutto. Vicino
alle coltivazioni ortofrutticole, agli allevamenti di bufale, ai bambini che
giocano per strada.
E che si ammalerà per aver respirato “a
munnezza”, nel corso dei tanti, continui e nocivi sopralluoghi per raccogliere
le prove e che resterà ucciso dallo stesso male che cercava di combattere in
quella maledetta Terra dei Fuochi.
Una storia forte e drammatica, piena
d’ingiustizie, di silenzi e corresponsabilità, di coperture e valutazioni
volutamente sbagliate. Una storia che fa riflettere, che commuove e che fa
rabbia come dice lo stesso Beppe - pensando alla figura di quest’ uomo “con uno straordinario senso civile e una
totale devozione nei confronti degli altri. Non un eroe, ma un servitore dello
Stato”.
Al di là di semplificazioni, anche
temporali, e riduzioni narrative della sceneggiatura per contenere tutto in due
puntate, che un po’ attenuano la forza del messaggio, resta comunque il merito dell’opera di non soffermarsi ai dati
della cronaca e di coinvolgere emotivamente il pubblico in una vicenda prima
umana e poi sociale e collettiva del Paese. Come nella delicata storia d’amore
e familiare, raccontata con misura e pudicizia o nella sottolineatura dei
valori di amicizia e solidarietà.
Tutto l’impianto della narrazione è
sorretto dalla bravura degli altri attori, dalle situazioni, dalle location,
che più vere non si può e, soprattutto, da Fiorellino che sa essere se stesso,
che non recita una parte, ma la vive e in essa si identifica, con estrema
naturalezza, anche nella sofferenza.
Il contenuto è così determinante da
assumere un importante valore di testimonianza e di denuncia.
Ma, intorno a “quei fuochi”, tutto tace,
nulla si spegne.
17 febbraio 2016 (Alfredo Laurano)
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