Uno sprovveduto idealista che
ha pagato con la vita la sua incoscienza o la sua ingenuità? Forse!
Il suo impegno civile, l’attenzione
ai problemi sociali di un paese dove il dissenso non viene tollerato, sono
fuori discussione, anche se qualche sciacallo ha fatto circolare la voce che lo
arruola nei servizi segreti italiani, per infangarlo o per giustificare la sua
morte.
La sua profonda passione è
pienamente testimoniata dal suo ultimo articolo pubblicato ieri sul Manifesto,
in cui spiega la difficoltà dei lavoratori del settore pubblico, la mancanza di
democrazia nell’organizzazione del sindacato egiziano e la fatica di opporsi al
programma di privatizzazioni in un paese ormai martoriato dalla repressione
feroce di un regime sanguinario.
Giulio Regeni sarebbe
stato fermato il 25 gennaio in un luogo non precisato, insieme ad una
quarantina di oppositori dell’attuale governo che si stavano preparando a
manifestare in piazza Tahrir, in occasione del quinto anniversario della
rivolta.
Per due giorni, nelle mani
dei suoi aguzzini sarebbe stato interrogato, picchiato, torturato fino ad
ucciderlo. Si parla di 31 ossa rotte, di bruciature di sigaretta, di un orecchio
mozzato, di uno o più colpi alla testa che hanno causato emorragie e lesioni
fatali.
Secondo alcune fonti, i
responsabili andrebbero individuati negli ambienti più oscuri e violenti della
polizia politica o dei servizi segreti egiziani, il famigerato Mukhabarat.
Quello che stavano facendo
ad un cittadino italiano e quali ripercussioni internazionali avrebbero provocato
è ancora da stabilire.
Ma, si è trattato di
un’iniziativa di cui la gerarchia era al corrente o il giovane ricercatore è
stato vittima di un complotto teso a screditare il presidente Al-Sisi?
Resta anche e soprattutto
da spiegare, perché si sono liberati del cadavere, facendolo ritrovare, invece
di farlo sparire per sempre?
In attesa che qualcuno
risponda a queste drammatiche domande, non ci resta che piangere questo giovane
e capace studioso che, come pochi suoi coetanei, aveva speso il suo tempo e il
suo impegno politico e giornalistico, per testimoniare e denunciare soprusi,
ingiustizie e difficili realtà.
Una scelta spontanea e volontaria, un raro
esempio di dovere morale e di voglia di giustizia, che lo portato al
sacrificio.
6 febbraio 2016 (Alfredo
Laurano)
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