E’
finalmente ripartita l’ennesima kermesse della canzone, nel luogo sacro dove è
nato il mito, caro agli italiani, che ogni anno si rinnova e, come per inerzia,
si traduce in rito.
La
sessantaseiesima sagra popolare delle leggere note e dei fiori di riviera, che
fu di “Volare”, di Tenco, di Mina, di Bobby Solo e Celentano per cinque pieni
giorni concentrerà l’interesse dei media e dei giornali, bombardando di
chiacchiere, immagini e pettegolezzi tanti teleutenti rassegnati.
Ma
quei fiori, da tempo, non ci sono più, non dipingono, né compongono la scena,
troppo semplice e banale.
Il vecchio palco, rivoluzionato e rimodellato,
sopravvive a stento alla nuove tecniche di regia, alle infinite inquadrature e
movimenti di tante telecamere che scavano nei volti e nei dettagli, ai suoni e
alle luci digitali.
Come
sempre accade, ormai da anni, ci son voluti mesi e settimane di voci e di
smentite, prima di conoscere, scelte, programmi e importanti decisioni per il
destino della nazione, con annunci solenni alla popolazione.
Ci
saranno i big, le giovani promesse, i talent e gli ospiti d’onore che più noti
non si può? Forse. Né, mancheranno brave vallette e aitanti valletti, ad
affiancare l’abbronzato conduttore.
Poi,
dopo tanti calcoli e previsioni, affanni ed incertezze, solo emozioni su quel
celeste palco che tutti dicono faccia tremar le gambe.
E
che emozioni e quante trepidanti attese, ansie infinite, paure e speranze
dietro quella scena, dove l’antico e il moderno si annullano e si fondono in un
tempo nuovo, mentre tutto si trasforma.
La
tecnologia attenta anche alla tradizione della canzone all’italiana: non più
quinte e sipari, né fiori e scenografie tipiche da riviera. Solo immancabili
scale e giochi incredibili di luci a led che ridisegnano un fittizio palco, che
creano percorsi, fasci e fontane luminose. Effetti laser che incrociano e
disegnano profondità inesistenti, che si aprono, si chiudono, si scompongono.
Come fuochi d’artificio.
Intanto
fuori, all'esterno del celebre teatro, per giorni e notti si rincorrono gli
artisti e le star internazionali, per un selfie, per toccarli e abbracciarli da
vicino, fra finti segreti e improbabili sorprese, preannunciate.
Tutti fan
appassionati di qualcuno o di chiunque, ma che importa, so’ tutti Vip.
Ogni spazio è transennato e vigilato.
Ogni spazio è transennato e vigilato.
Impazza
il gossip sugli abiti, sulle acconciature, sui look e i “sentito dire”,
alimentato dai microfoni sprecati di mille inviati e dalle continue dirette con
gli studi TV.
Imbarazzanti
e assai toccanti le interviste: “cosa hai provato in quel momento…com’è il
palco di Sanremo? ...
Incalza,
ovviamente, la tabella dei numeri, degli ascolti e degli inevitabili confronti,
con le edizioni precedenti: è quello conta, per la carissima pubblicità. E, per
finire, il solito televoto e il totovincitore…!
La
gara conta poco e il festival, che ha perso anche i fiori e l’antico appeal, è
diventato, nel tempo, una ricorrenza obbligatoria e nemmeno molto ambita, una
vetrina a sensazione degli effetti, una rampa di lancio per intese commerciali.
Un salotto classico un po’ sdrucito, ma rilucidato, che il tempo ha logorato,
ma ancora buono per riempire i palinsesti.
Basta
afferrarne il senso, quello giusto.
"Cari
amici vicini e lontani, buonasera ovunque voi siate!", diceva Annunziato
Filogamo, primo presentatore del Festival, poi allontanato dalla Rai perché
omosessuale.
Era
una volta il tempo di Nilla Pizzi, Togliani, Gino Latilla e il Duo Fasano e di
un solo direttore d’orchestra, senza cuffie - per esempio il Cinico Angelini -
che, dalla gracchiante radio a valvole, raccontavano belle canzoni e struggenti
melodie che, io, piccolo bambino, ascoltavo la sera, con mia madre che
spicciava la cucina.
10
febbraio 2016 (Alfredo Laurano)
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